PAVIA – L’Arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza di Pavia, alle prime luci dell’alba, al termine di una complessa indagine, hanno arrestato cinque persone di nazionalità italiana che in associazione fra loro si sono rese responsabili di una complessa frode in commercio nel settore vinicolo, perpetrata da una nota cantina della Provincia di Pavia.
A loro sono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata alla frode in commercio e alla contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari (DOC e IGP),
Sugli indagati pesa anche il reato di emissione di fatture false che sarebbero servite a giustificare quantitativi di vini etichettabili con denominazioni pregiate, non presenti in magazzino, e sostituiti dal produttore con vini di qualità inferiore, alterati e destinati alla vendita come vini di tipologie tipiche dell’Oltrepò Pavese.
Carabinieri e finanzieri hanno eseguito cinque misure cautelari degli arresti domiciliari e due obblighi di firma emessi dal Tribunale di Pavia, nei confronti di altrettanti soggetti responsabili
L’indagine ha avuto inizio nel settembre 2018 per presunte attività illecite, finalizzate alla contraffazione di prodotti vinicoli, avvenute durante la vendemmia e la prima lavorazione dei mosti del 2018 presso la Cantina Sociale di Canneto Pavese, specializzata nella produzione di vini a marchio DOC e IGT tipici della zona.
L’inchiesta avrebbe consentito di acclarare un consistente ammanco di cantina, ossia la differenza tra la quantità fisica di vino presente nelle cisterne e la quantità commerciale riportata nei registri di cantina, che era decisamente superiore a quella fisica.
L’ammanco, risultato pari a circa 1.200.000 litri, avrebbe determinato per il produttore una ulteriore possibilità di vendita di vino contraffatto per un valore economico di svariati milioni di euro. L’ammanco sarebbe stato dolosamente creato falsificando le rese dell’uva/ettaro mediante bolle di consegna relative ad uve mai conferite in azienda da agricoltori compiacenti.
La successiva indicazione sui registri di cantina della massima resa inerente la trasformazione dell’uva in vino, generava una contabilità sbilanciata rispetto al reale carico della cantina, che avrebbe consentito a quest’ultima di giustificare la vendita come vini DOC e IGT o “BIO” anche di prodotti che in realtà non avevano le caratteristiche richieste per tali etichettature, poiché “miscelati” con vini di qualità decisamente inferiore, non proveniente da uve certificate.
A tali prodotti venivano quindi aggiunti “aromi” vietati nella produzione vinicola, allo scopo di falsarne le proprietà olfattive e al palato così da imitare sapore e profumi delle tipologie tipiche dell’Oltrepò Pavese.