Da Lecco dura reazione all’articolo pubblicato su Up
“Esprimiamo il nostro dissenso verso questa volgarizzazione di una delle più importanti pagine della Storia alpinistica”
LECCO – L’articolo ha suscitato molta indignazione all’interno della comunità alpinistica lecchese e non solo. “La via più brutta del mondo” è il titolo dell’articolo di Riky Felderer, fotografo e alpinista, membro dei Ragni di Lecco, che ha scatenato le dure critiche di un gruppo di alpinisti che ha deciso di scrivere una lettera aperta.
La salita della Cassin-Ratti alla Ovest di Lavaredo è al centro della storia raccontata da Riky Felderer sul numero di luglio/agosto di UP Climbing, bimestrale di arrampicata e alpinismo edito da Versante Sud. A non andare proprio giù sono state alcune espressioni utilizzate per raccontare la storica via.
Riceviamo e pubblichiamo di seguito la lettera sottoscritta da Floriano Castelnuovo, Pietro Corti, Danilo Valsecchi e condivisa da un gruppo di alpinisti ed esponenti della comunità alpinistica lecchese e non solo.
“Sulla rivista UpClimbing, numero 3 – luglio agosto 2019, è comparso un articolo relativo ad una ripetizione della via Cassin Ratti alla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo. Il pezzo, opera di Riky Felderer, membro del Gruppo Ragni di Lecco, si intitola ‘La via più brutta del mondo. Una strana giornata sulla Cassin-Ratti alla Ovest’.
La storia di questa salita è così bella che, prima di affrontare l’articolo, ne vogliamo ricordare le fasi salienti, prendendo spunto dal libro ‘Cinquant’anni di Alpinismo’, Riccardo Cassin, Dall’Oglio 1977.
Ovest di Lavaredo, parete Nord. 1935. Agosto… Pochi giorni dopo il rientro a Lecco dalle ferie, passate vicino al rifugio Vazzoler (durante le quali, dal 15 al 17 agosto, Riccardo Cassin e Vittorio Ratti compiono la prima ascensione del grandioso spigolo Sud Est della
Torre Trieste) arriva la notizia che due forti rocciatori bavaresi sono attendati sotto la Ovest, dal lato nord! La parete nord della Cima Ovest di Lavaredo era all’epoca uno dei maggiori problemi delle Alpi; ben 27 (ventisette) cordate l’avevano tentata, tra cui quelle di Comici, Varale, Zanutti, Dimai, Carlesso, Demetz. Cassin e Ratti ripartono immediatamente per le Dolomiti, accompagnati dall’amico Mino Rossi. Sanno che i due giovani tedeschi Hans Hintermeier e Sepp Meindl ‘montano di guardia’, e che si tratta di concorrenti formidabili, per i quali Riccardo Cassin riserva parole di elogio. Appena arrivati, i lecchesi fanno una ricognizione, nascosti dalla fitta nebbia. Addirittura parlano sottovoce, ma non possono smorzare il rumore delle martellate. I tedeschi lanciano richiami allarmati, ma i Nostri si guardano bene dal rispondere. Tornati al rifugio, Riccardo cerca di riparare le pedule sfondate, al che il gestore gli cede le sue (in cambio di un modesto noleggio…). La mattina del 28 agosto Cassin e Ratti ‘attaccano’, sempre nella fitta nebbia. Quando questa si dirada per un attimo, nella tendina dei tedeschi scoppia il finimondo. Subito corrono in parete e cercano di ingaggiare una specie di gara, salendo in parallelo ai lecchesi. O almeno ci provano, ma poco dopo rinunciano. Ma non c’è astio in loro, tant’è che fanno il tifo per tutta la durata della salita degli italiani, in compagnia del Rossi. Quando, due giorni dopo, Cassin e Ratti escono dalle grandi difficoltà, Rossi sale in vetta accompagnato dai tedeschi, che vogliono stringere la mano ai vincitori. Un magnifico esempio di fair-play, che vale a buon diritto l’entrata di Hintermeier e Meindl nella Storia dell’Alpinismo (oltre che per la loro immediata prima ripetizione della via, il 2 e 3 settembre). Questo, in estrema sintesi, il racconto di Cassin di questa salita leggendaria.
Tornando all’articolo in questione, prendiamo atto del modo spregiativo in cui viene trattato un itinerario che rappresenta un pagina fondamentale per la storia dell’alpinismo, i cui autori, Riccardo Cassin e Vittorio Ratti, sono due delle figure più belle dell’alpinismo lecchese. Oltre che ovviamente di quello internazionale.
Ognuno si esprime come riesce, tuttavia riteniamo che certe frasi siano gravemente irrispettose:
... la via si presenta per quello [sic] che è: ripida, senza senso, su roccia marcia”…
… “non solo è un traverso di merda” …”in tutto questo girare in tondo, ricordo… le bestemmie… al grido di “ma che via di merda…”…
…non sto a giraci intorno (battuta!): la via in sè fa cagare …..
Alla fine l’Autore regala ai suoi lettori qualche frase dal sapore riparatorio; del tipo;
“Ma la consiglio. La consiglio perché quando uno l’ha fatta è uno scalatore più completo”….
“a farla si ripercorre una delle pagine di storia più importanti della scalata italiana”.
Frasi che, dopo quanto letto sopra, suonano come una presa in giro.
Al netto del linguaggio offensivo (inaccettabile) nei confronti di quanto rappresenta questa ascensione, non condividiamo la semplificazione adottata. Il giudizio su questa via, che, come ci insegna Riky Felderer, “ha segnato una delle pagine di storia più importanti della scalata italiana”, viene ridotto alla qualità della roccia e della chiodatura. Trattandola alla stessa stregua di un qualsiasi itinerario “senza senso, su roccia marcia”. Senza considerare che ci sono innumerevoli pareri positivi su questa salita… Ma a questo punto il
problema è ben più grave di un giudizio estetico o tecnico. Esprimiamo quindi il nostro dissenso verso questa volgarizzazione di una delle più importanti pagine della Storia alpinistica internazionale e lecchese in particolare”.
Ringraziando per la cortese attenzione prestata, porgiamo cordiali saluti.
Floriano Castelnuovo
Pietro Corti
Danilo Valsecchi
La presente comunicazione è condivisa anche da:
Giuseppe Alippi Det
Aldo Anghileri
Gianni Arcari
Benigno Balatti
Alberto Benini
Mario Bramati
Sonja Brambati
Roberto Chiappa
Peppino Ciresa
Angelo Erba
Paolo Masa Pilly
Nando Nusdeo
Dario Spreafico
Antonio Peccati Briciola
Norberto Riva
Corrado Valsecchi
Paolo Vitali