Monte Moregallo, la via OSA compie 60 anni

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Giorgio Tessari e Pietro Paredi
Giorgio Tessari e Pietro Paredi prima di salire al rifugio Sev per i festeggiamenti del 60° dell'apertura dell'irripetuta via Osa sulla nord del Moregallo

A tracciare la via nel 1965 furono: Giorgio Tessari, Pietro Paredi, Antonio Rusconi e Castino Canali

Due settimane fa Tessari e Paredi si sono ritrovati al rifugio Sev per celebrare il 60° e ricordare i due compagni di cordata “andati avanti”

VALMADRERA – Era il 1965 quando Giorgio Tessari, classe 1942 e gli amici Pietro Paredi (1939), oggi Guide Alpine Emerite, e i compianti Antonio Rusconi (1947) e Castino Canali (1936), decisero di tracciare una nuova via sulla parete Nord Est del Monte Moregallo. Quella che inizialmente era solo un’idea divenne presto una piccola grande impresa sulle montagne di casa: due giornate di arrampicata e chiodatura, il 15 e 16 maggio, durante le quali il quartetto tracciò passo dopo passo un itinerario inedito. Alla fine, la linea venne battezzata “OSA” in omaggio all’Organizzazione Sportiva Alpinisti (OSA) di Valmadrera.

Via Osa 1965_Tessari_Rusconi_Canali_Paredi

L’arrampicata, che si sviluppa per 350 metri e compie un dislivello di 300 metri per una difficoltà che raggiunge il grado V+ e A2, nasconde insidie inaspettate, tant’è che per compiere quei sette tiri di corda servono dalle 6 alle 8 ore.

A 60 anni da quella conquista, ad aprire il libro dei ricordi è proprio uno dei quattro protagonisti di allora, Giorgio Tessari. “Abbiamo attaccato la via alle 15 del sabato. Prima non potevamo, perché a quei tempi – sottolinea – il sabato mattina si lavorava fino a mezzogiorno. Dopo pranzo abbiamo attaccato la via e dopo cinque ore abbondanti di arrampicata, con l’arrivo del buio, abbiamo deciso di bivaccare in parete. Il giorno dopo, alle 6 circa del mattino, ci siamo rimessi in parete e siamo arrivati in cima verso le 13.00 di domenica 16 maggio, dove ad attenderci c’erano alcuni amici… correva l’anno 1965”.

Si commuove Giorgio Tessari nel ricordare quell’impresa e soprattutto gli amici “andati avanti” come lui dice parlando di Castino e Antonio.

Per aver ragione della Nord Est del Moregallo i quattro valmadreresi impiegarono “25 ore di parete di cui 14 di effettiva arrampicata… avevamo vinto una magnifica, impegnativa parete”, scrisse Canali in un articolo dell’epoca.

E sempre in quell’articolo dettagliato che Tessari ci mostra, Canali ripercorre quell’impresa: “…superiamo il primo balzo di venti metri (4°) che ci porta su una cengia erbosa. Da qui si innalza un diedro di trenta metri (5°) che richiede l’ausilio di 12 chiodi e 4 cunei per raggiungere un comodo terrazzo. Sopra di noi si erge ora il secondo diedro strapiombante, poco fessurato, con una faccia composta di una roccia compatta e con l’altra alquanto friabile. Quaranta metri (6°) per raggiungere una cengia lievemente inclinata. Sono le diciannove e decidiamo di arrestarci li per il bivacco… la fatica è moltissima e la stanchezza suggerisce di desistere. Il posto che ci ospita è abbastanza comodo per passarvi una notte e subito mangiamo e per la verità piuttosto abbondantemente…il morale è altissimo… La notte bella e non fredda sta annunciando un’altra ottima giornata”.

La via Osa che sale lungo lo spigolo della Parete Nord del Monte Moregallo
La via Osa che sale lungo lo spigolo della Parete Nord Est del Monte Moregallo

L’indomani di buon mattino i quattro amici riprendono la scalata verso le ore 6. “Il terzo diedro – prosegue il racconto di Canali – è di circa quaranta metri (6°) e per vincerlo ci impieghiamo parecchie ore; è il più difficile! Occorrono ben 23 chiodi e 2 cunei per raggiungere una fermata poco confortevole. Vi sono ora da affrontare trentacinque metri di roccia che dovremo salire senza la sicurezza di chiodi perché piantarne uno significherebbe far crollare molte pietre. Per schivare questo pericolo usiamo infatti solo otto chiodi appena puntati su tutti i trentacinque metri. Riusciamo cosi a raggiungere uno spiazzetto molto sicuro ma capace appena di ospitare i piedi ed effettuare la fermata. Ultimo diedro, anche lui molto difficile, ma molto sicuro. E composto di venti metri di roccia compatta dove i chiodi tengono bene poi, in traversata verso destra, quindici metri di rocce frastagliate per arrivare su di una grande cengia usando in tutto 5 chiodi ed 1 cuneo. Giunti sulla cengia, stanchi ma soddisfatti, ci guardiamo in faccia come per interrogarci: quanto ne avremo ancora? Da qui, infatti, non si scorge l’uscita e mentre confabuliamo vediamo tre nostri amici che battendo la cresta vengono verso il nostro punto d’arrivo. Li chiamiamo, e questi, riusciti a scorgerci, ci incitano avvertendoci che ancora mancano all’incirca 120 metri. Non esitiamo a partire perché le scorte fluide sono terminate e la sete ei attanaglia in brutto modo. Attraversata la cengia ci portiamo sullo spigolo alla nostra sinistra e con tre tiri di corda, su roccia friabile ma facile, tocchiamo la vetta”.

La via fu chiamata OSA non solo per ricordare l’associazione, ma anche per una promessa fatta prima della salita: i quattro alpinisti, appartenenti al CAI Valmadrera ma iscritti anche all’OSA, non avevano infatti materiale sufficiente e si rivolsero agli amici dell’OSA per un prestito, promettendo che, in caso di successo, la nuova via sarebbe stata dedicata proprio a loro.

Da allora più nessuno è riuscito a ripeterla spiega Tessari: “Il primo tentativo ci fu dopo ben sette anni dall’apertura e fu compiuto da alcuni ragazzi di Valmadrera, ma raggiunto il punto chiave in prossimità del nostro bivacco, decisero di tornare indietro”.

41 anni dopo, è lo stesso Tessari che ci riprova insieme al fratello Franco e agli amici Gian Maria Mandelli e Mauro Farina. Quest’ultimo, informato del tempo di salita stimato per raggiungere la vetta, si dimostrò scettico borbottando: ‘Sei ore?! Figurarsi’.
Come finì lo ricorda sempre Tessari: “Dopo 6 ore di arrampicata arrivammo alla temibile cengia. Da quel punto, ci sarebbe voluta ancora un’ora e mezza abbondante per raggiungere la cima. Farina a quel punto non parlò più e vista l’ora decidemmo di ridiscendere”.

Due domeniche fa, per festeggiare il sessantesimo anniversario dell’apertura, Giorgio Tessari è salito al rifugio SEV con l’amico Paredi per una giornata con familiari e amici, ricordando quell’impresa che continua ad affascinare le nuove generazioni. La via OSA, sospesa tra mito e realtà, resta ancora oggi una sfida aperta che sa di storia.