“La Riconciliazione unico itinerario per la città”

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Giuseppe Arnaboldi Riva

LECCO – “Strumentalizzare i morti per acuire contrapposizioni e fomentare nuovi conflitti, senza verità e senza capire i sentimenti profondi per cui hanno dato la vita, è un errore imperdonabile.

Ho pensato a lungo e dolorosamente ai tragici fatti del 28 aprile 1945 e ho sofferto intimamente per la morte di quei giovani militari RSI. Li ho spiritualmente abbracciati con don Luigi Brusa, prete della Resistenza, e ho sentito il grido lancinante di Mila Bernardini. Per questo ho scritto “le braccia del padre”; credo, nello spirito più autentico della Resistenza (quello del partigiano Milton, di Beppe Fenoglio) capace di sentire, oltre le contrapposizioni di parte, l’angoscia per il medesimo itinerario di morte e la speranza per lo stesso sogno d’amore che accomuna tutti gli uomini.

Convinto che la Resistenza non è compiuta se non apre il tempo della Riconciliazione nella condivisione di sentimenti e valori propri della nostra gente, ho fatto mio il gesto riconciliatore del capitano RSI Gisberto Dal Monte che stringe la mano del comandante partigiano prima di morire e ho fatto mie le parole di perdono del tenente Bernardini.

Così vorrei accadesse dall’altra parte.

A coloro che si presentato come eredi della RSI chiedo non continuino a celebrare memorie vuote per rivestire i morti di un abito simbolico obsoleto che nasconde la loro vera umanità. E abbiano il coraggio della verità. Per questo, a costoro dico che i 16 ufficiali della RSI massacrati in una imperdonabile liturgia di vedetta pubblica indegna dei valori della Resistenza, sono morti anche per i due legionari del gruppo corazzato Leonessa che hanno sparato volontariamente nel primo tentativo di resa durante la battaglia del giorno precedente.

A costoro dico che Mila Bernardini, figlia del tenente che ha perdonato, era intenzionata a denunciare quei due legionari insieme ai partigiani che hanno ucciso suo padre presentandolo alla folla come capro espiatorio. A costoro dico che uno di questi due legionari, diventato un notissimo uomo politico, non ha mai avuto il coraggio di dire la verità e confessare pubblicamente che i fucilati al campo sportivo hanno versato il proprio sangue anche per lui, guidato, in quel frangente, dal fanatismo, malattia gravissima, da denunciare sempre là dove tende a risorgere.

La verità è dura da ammettere, ma imprescindibile per iniziare un vero itinerario di Riconciliazione e insieme ritrovare l’anima autentica della nostra città manzoniana”.

Giuseppe Arnaboldi Riva