LECCO – Dalla bomba di Madrid al camion assassino sul lungomare di Nizza all ‘uso dell’ascia in Germania : è lunga e straziante la scia di sangue, morte e orrore lasciata in Europa dal terrorismo di matrice islamica che agisce in nome di una jihad senza codice: che spara nel mucchio, che uccide donne e bambini, che si affida a killer spietati senza volto, o che hanno di volta in volta le sembianze dell’insospettabile vicino della porta accanto, dello studente straniero o dell’immigrato di seconda generazione pronto a immolarsi agli ordini del Califfato indossando la divisa dello stragista.
E la trincea ,è una linea di demarcazione che è impossibile definire e che agisce globalmente, dalla Siria alla Francia, dall’Iraq alla Turchia, da Bruxelles agli Stati Uniti, dalla Spagna alla Germania. Saremmo noi però disposti a sacrificare diritti e libertà in nome della sicurezza? Questo potrebbe dire più controlli nei movimenti, nelle comunicazioni, nella corrispondenza, nelle transazioni finanziarie. Misure inevitabili se davvero si volesse battere i malintenzionati dell’Isis e prevenire le loro mosse.
Fino a che punto si possono accettare delimitazioni così pesanti in nome della sicurezza? Poi chi vigilerà sulle misure che governi e parlamenti si presteranno a varare sull’onda della paura? In nome della libertà e della democrazia abbiamo già visto cosa è successo nello scorso decennio. Governi che oggi sono costretti a chiedere perdono per le menzogne propinate alle opinioni pubbliche pur di scatenare la guerra in Medio Oriente e avviare l’invasione in Iraq. Guerra santa per esportare la democrazia, non rendendosi conto che la democrazia non si inietta ne si compra , ma è un processo lungo e tortuoso di anni e di profonda maturazione . Abbiamo visto come i pretesti si siano rivelati infondati e le guerre per “l’esportazione della democrazia” un assoluto fallimento , non vorrei che la storia si ripetesse ora con le legislazioni speciali in nome della lotta al terrorismo. Ci vorrebbero provvedimenti efficaci e adeguati alla portata del rischio, nella speranza che i nostri governanti, non solo italiani, rivelino finalmente quelle capacità di leadership che nella gestione della crisi mediorientale sinora non hanno dimostrato.
Un dilettantismo politico burocrate che ha fatto parecchi danni ,che ha portato ed accentuato odi pregressi, invece di ricucire sbagli e discriminazioni prodotte nel tempo. Per circa un ventennio, dagli anni venti ai quaranta, nelle facoltà di medicina francesi veniva insegnato che gli indigeni avevano una conformazione neurologica particolare, che li rendeva fisiologicamente criminali, aggressivi e violenti. Delinquono perché sono delinquenti di natura e non possono far altro. Nel linguaggio coloniale francese ogni parola che indicava un algerino, ad esempio, corrispondeva ad un insulto come “bicot” (capretto) sinonimo di nordafricano. Nelle scuole di primo e secondo grado delle colonie i libri di testo ,tutti di autori europei, parlavano della naturale superiorità razziale dei bianchi . Sino a circa mezzo secolo fa, medici, antropologi, biologi, psicologi eccetera davano per scontata l’inferiorità naturale delle popolazioni di colore. Il colonialismo, prima e più ancora che di territorio fu invasione della mente.
Queste sofferenze neurologiche e psicologiche non si sono dissolte con l’indipendenza , ma continuano mischiandosi con notevole ignoranza come rivincita fondendosi, intrecciandosi e aggrappandosi nell’ unica verità a loro conosciuta: la religione. Da parte nostra un’integrazione fallita costruita nella demagogica convinzione che serva solo un corso di lingua europea per far sentire a casa propria una persona abbandonandola senza arte ne parte al proprio ghetto, alle proprie usanze e ai propri costumi, rafforzando così quel malessere e quella vita non vita fatta di continui dubbi nella apologia più nera. Un’integrazione solo apparente di comunità di vecchia e nuova immigrazione in realtà discriminate e ghettizzate economicamente e socialmente.
Questo dovremmo riconoscerlo noi, come primo passo nella ricerca di una politica più rispettosa, più solidale e soprattutto più sensata. Ma il compito spetta anche agli islamici: capacità di costruire democrazie durevoli in cui la libertà di coscienza rispetto ai dogmi della religione venga riconosciuta come diritto morale e politico; migliorare la condizione femminile in direzione dell’uguaglianza, della responsabilità e della libertà; separazione del potere politico dal controllo dell’autorità religiosa; capacità di instaurare il rispetto, la tolleranza e un effettivo riconoscimento del pluralismo religioso e delle minoranze religiose. Ciascuno dovrà avere il coraggio di partire dal riconoscimento delle proprie colpe, delle proprie responsabilità. Solo così potremo costruire una convivenza in cui sarà finalmente possibile, pur nel rispetto di tutte le differenze, religiose e non, abolire la grande contrapposizione che fino ad oggi ci ha diviso.
Ezio Venturini