Tragedia di Lampedusa: “Una storia per riflettere”

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LECCO – Riceviamo e pubblichiamo:

“ Aisha…Aisha.…alzati “. Una voce incessantemente risuonava armoniosa al tocco ritmato e assillante dell’infrangere delle onde sulla malmessa imbarcazione, gli occhi fissi all’orizzonte abbacinati dal sole ritrovavano quella scena quando la madre scrollandola ogni mattina dalla scarna stuoia, condivisa con i quattro fratelli più piccoli, la invitava ad alzarsi. L’insopportabile sapidità del mare che non dava tregua si amalgamava ai ricordi della sua terra, l’Africa che nulla le aveva dato, ma tutto aveva preteso.

”Aisha alzati l’acqua non viene da te, bisogna andarla a prendere “proponeva la madre con voce penetrante al sorgere del sole come consuetudine ogni mattina .

Aisha quasi stordita nella penombra della misera dimora, una capanna circolare non più di 3 metri di diametro, con il tetto conico di paglia e i muri fatti con mattoni di argilla essiccata e ricoperta da una sorta d’intonaco di terra mescolata a paglia e sterco di vacca, si alzava a gran fatica nel debole corpo di un esile ragazzina non ancora cresciuta, osteggiata da una scarsa e abituale alimentazione. . A passi incerti nella ricerca a terra nella giara in terracotta dove conservava il suo prezioso rudimentale pettine, si apprestava nel vestitino strappato ai piedi, l’unico che avesse, a uscire per recarsi come usualmente ogni mattina con suo il pesantissimo contenitore a prendere l’acqua al pozzo situato a due Kilometri dal villaggio.

Un fermento improvviso sul barcone aveva ridestato il ricordo di Aisha susseguito da un forte rimbombo. Il pianale dell’imbarcazione registrava movimenti anomali da attanagli, tra lo spavento e la movenza, un crampo nello stomaco. Spaventata, si mise in punta di piedi accalcata e sorretta d’inerzia dalla gran folla dei compagni di sventura per vedere e scrutare meglio. Il peso della gravidanza accentuato dalla gran sete e da quel puzzo nauseante del sudore incessabile dei propri pari le dava un senso di vomito. La solita e ripetitiva storia ormai da giorni: un altro compagno gettato malamente in mare nella sfortuna di quella peggior morte da disidrata mento. Chiese esausta di poter avere un piccolo spazio ai lati dell’imbarcazione e di potersi finalmente sedere. Nella gazzarra del grande affollamento riuscì a trascinarsi ai lati del barcone e finalmente ad accomodarsi.

” Aisha stai attenta se vedi i soldati, nasconditi e prega la Madonna, sai quelli cosa hanno fatto a tua cugina”. Riprendevano cosi gli ombrosi ricordi della sua terra nella raccomandazione quasi ripetitiva della madre di ogni mattina. Una pista delimitava l’arido percorso tra il villaggio e il pozzo d’acqua, una strada in terra battuta la cui sabbia rossa in armonia con il sole valorizza come per magia i bellissimi e contrastati tramonti, ravvivando nei ricordi le memorie e respirandone ora l’atmosfera. Una strada di cicatrici profonde, le corse e i giochi spensierati con gli altri bambini nelle enormi pozze d’acqua nel tempo delle piogge, ma anche quel crudele ricordo dell’uccisione del padre dai miliziani del governo lasciando così nella miseria più nera Aisha, i quattro fratelli e la sventurata madre che instancabilmente si metteva sotto un sole affliggente in cerca di qualche Nafka con il suo umile graticcio di otto pomodori, una decina di patate accatastate a forma di piramide e con qualche latta o pezzo di legno recuperato alla meglio per vendere e poter sostenere in questo dignitoso modo, la sua famiglia. In fondo si sopravvive e si vive anche così, si vive di riciclo di oggetti di latta, pelle, ferro, legno, tutti finiscono al mercato, tutto si vende e nulla si butta.

L’ondeggiamento quasi ritmato del barcone, lo spegnersi del sole in quel tramonto opaco quasi che la vita dovesse arrendersi lentamente interruppe quel contatto incessante di ricordi del villaggio. La fame assatanata, ma soprattutto la sete divorava Aisha e il suo bambino, frutto imbarazzante di una sevizia in Libia. Un lungo viaggio straziato durato per mesi, fatto di abusi e soprusi, prepotenze in una lotta tra poveri che non determinava un vincitore o vinto, ma solamente miseria” tiene un po’ di pane “ disse Kidus sfortunato amico di viaggio porgendolo con delicatezza verso la mano di Aisha.

L’esile e scarna mano afferrò lentamente quel duro pezzo di pane e con uno straziante sorriso accigliando gli occhi e inclinando il capo lo pose sulle sue disidratate labbra incominciando con fatica ad assaporarlo. La vita scorreva nel grembo materno, impetuoso, turbolento nella triste imbarcazione dando speranza di vita a un bimbo che sarebbe ben presto nato meritando di vedere gli immensi colori, profumi e rumori: le meraviglie del mondo. “ dai , forza arriveremo, ce la faremo” dissi Kidus accarezzandogli dolcemente i capelli “ vedrai l’Italia è bella, quando arriveremo, ti aiuterò, io non ti abbandonerò “ ripeteva Kidus. L’ultimo spiraglio di sole scompariva dolcemente come l’ultimo respiro di vita di Aisha spegnendosi negli aspri ricordi di quella somma povertà che l’Africa gli aveva senza sconti offerto ,colpevole solo, di aver aspirato a una vita migliore”.

Ezio Venturini