LECCO – “In questi giorni infiamma il dibattito sulle aree Vaste. E’ fisiologico: il tema del Risiko locale appassiona e si presta perfettamente a diventare tormentone estivo, un argomento di discussione nei lunghi pomeriggi d’estate. Al di là dei confini, il dibattito andrebbe spostato sulle risorse, sulle funzioni e, quindi, sui servizi che i nuovi enti di area vasta andranno a erogare.
Inutile rilevare che negli ultimi cinque anni i giornali hanno cavalcato una campagna mediatica per eliminare le province e oggi si accorgono che un ente intermedio fra il livello regionale ed il livello comunale è necessario. Soprattutto in Lombardia, dove molte ex province hanno più abitanti di alcune regioni italiane.
Ma è inutile guardare al passato. Guardiamo al presente: è evidente che in questi anni, proprio nel momento in cui le province di Lecco e di Como sono state divise, c’è stata una valorizzazione della sponda lecchese. Con la vecchia provincia di Como – è sotto gli occhi di tutti – il territorio comasco è stato quello maggiormente premiato dal punto di vista turistico e ricettivo, mentre quello lecchese è sempre stato considerato come il… parente povero. Inoltre – val la pena ricordarlo – i nuovi enti di area vasta non avranno risorse da impiegare sul turismo e, già oggi, questi fondi vengono distribuiti attraverso bandi – regionali o europei – e tramite l’autorità di bacino. Risorse, peraltro, che vengono erogate su progetti comunali ed intercomunali, che aggregano proposte vincenti, non confini.
Un brand come il lago di Como è un marchio da valorizzare dal punto di vista turistico, non elemento costituente di un ente che si occuperà di trasporti, viabilità ed istruzione secondaria. E se vogliamo parlare di trasporti legati al turismo, per esempio, un elemento fondamentale come la navigazione sul lago è gestito dallo Stato attraverso la “Gestione Governativa Navigazione” (e non dal nuovo ente di area vasta).
Il lago di Garda – modello di successo per il turismo – insiste su tre regioni: se guardiamo ai numeri delle presenze turistiche, il fatto di essere diviso non è un elemento negativo. Anzi, rappresenta un vantaggio.
Lo stesso discorso potrebbe valere sull’aspirazione di qualche sindaco a guardare verso la Valtellina. Vogliamo veramente che i nostri rappresentanti territoriali facciano anticamera a Sondrio dietro la Valchiavenna, la Val Gerola o la Val Malenco? Forse è meglio che la Valsassina sia un unicum, una specificità, un elemento diverso in un ambito più grande. Un elemento che, se si rafforza, se è in grado di fare sistema, può rappresentare una specificità omogenea che avrà migliori servizi e maggiori risorse rispetto a un ruolo marginale, come essere una delle tante vallate della provincia di Sondrio.
I cambiamenti spaventano, ma bisogna avere il coraggio di immaginare e progettare ciò che ancora non si vede. Esiste una spaccatura profonda, quasi generazionale, fra chi guarda al passato e chi, invece, in questi anni si è abituato a volgere il proprio sguardo verso la Brianza e non più a Como, utilizzando gli assi viabilistici, i collegamenti e le opportunità di crescita di un territorio come la Brianza. Non si può essere così ingenui da cadere nella trappola di volere un matrimonio con Como per poi trovarsi a dividere un letto a tre piazze con Varese e diventare così la periferia dell’impero.
Meglio giocarsi una propria specificità, con un territorio dinamico dal punto di vista economico e sociale come Monza, piuttosto che litigare per servizi e risorse con un territorio complementare”.
Antonio Pasquini, Consigliere comunale Crandola, Area Popolare