LECCO – “Un pò dispiace aver occupato tempo e spazio con questa polemica nel PdL sulle aziende pubbliche, finita tra reciproche querele e senza costrutto.
Sono anch’io colpevole, lo so. Ma d’altro canto non potevo lasciar passare certe corbellerie, pur sapendo che la passione per la verità delle cose sarebbe andata a discapito del buon nome della “ditta”.
Sbriciolare con poche parole le gracili sortite “rivoluzionarie” di qualcuno è un’impresa facilissima, ma anche di poco gusto. Come vincere a tennis senza nessuno dall’altra parte della rete. Zero soddisfazione, solo qualche sghignazzata e tanto imbarazzo.
Peccato, perché la questione della governance delle aziende pubbliche merita invece un serio approfondimento e un confronto tra amministratori e forze politiche.
Il problema oggi non è quello delle nomine politiche, una pratica che con alti e bassi ha sempre dato buoni frutti sul nostro territorio. I servizi pubblici di rilevanza industriale (rifiuti, gas, acqua, …) sono mediamente di alta qualità, e il sistema di aziende che lo eroga è sano (sebbene oggi in fase di definizione, specie per il servizio idrico integrato). Un sistema che altre province, anche lombarde, possono tranquillamente invidiarci.
Il punto, invece, è questo: le ultime normative nazionali (Dl 95/2012) impongono che le aziende pubbliche siano governate da Consigli di Amministrazione composti prevalentemente da dipendenti di enti locali soci, come ad esempio i Comuni. Inoltre tratta della rappresentanza di genere.
L’idea che sta dietro questa scelta è quella di eliminare costi e spazi della politica, forse una necessità di alcune situazioni poco virtuose che hanno poi creato una generalizzazione. Questa direzione, tuttavia, porta con sè non pochi problemi. I dipendenti pubblici che entrano nei CdA delle aziende non percepiscono alcuna retribuzione, cosa che spesso li spinge a farlo contro voglia. Alcune esperienze lombarde dove questa normativa è stata applicata ha portato ad una paralisi della governance delle aziende pubbliche: chi è quel dipendente comunale che senza nemmeno un riconoscimento economico si prende l’onere di responsabilità amministrative? Il rischio quindi di bloccare il meccanismo delle decisioni con un approccio meramente burocratico è alto.
A questo si aggiunge un ulteriore elemento di incertezza portato dal Dlgs 39/2013 che, nel quadro delle normative “anti corruzione” pone dei limiti ai dipendenti che possono essere nominati nei CdA. Anche il Sole24ORE, con un articolo di Stefano Pozzoli, ha sottolineato questa sovrapposizione di Leggi che rischia di avere effetti negativi sulle aziende pubbliche.
Non dico che, banalmente, la soluzione sia quella di annullare la disposizione, che comunque non condivido (ennesimo “regalino” del Governo Monti) e che ha suscitato molte perplessità nei commentatori, nei giuristi.I Sindaci con cui mi sono confrontato in questi giorni sollevano medesime preoccupazioni. Forse sarebbe stato meglio inserire dei criteri di valutazioni sulle performance delle aziende e dei loro amministratori, anziché trasformare surrettiziamente le stesse società in propaggini degli uffici comunali, in una sorta di ritorno al passato di molti anni fa.
Non si aiuta il miglioramento del Paese con normative come questa, che tolgono la responsabilità di scelta agli amministratori e più in genere alla politica, con formule che occhieggiano a “sovietizzazioni” delle società che sono sì di diritto privato ma potrebbero sempre più somigliare a uffici comunali. Anche perché alla fine di tutto ci siamo noi, quelli che pagano la bolletta o la tassa, e quello che ci interessa è il servizio che riceviamo e la tariffa.
In vista dei prossimi rinnovi i Sindaci si stanno confrontando su questo tema. E’ un argomento che merita anche un approfondimento, serio, con i parlamentari che potranno poi incidere su queste normative. Spingendo il Governo a una normativa chiara e univoca, ispirata al buon senso ed evitando di rovinare realtà funzionanti e meritevoli”.
Mauro Piazza