LECCO – Riceviamo e pubblichiamo la nota dei sindacati:
“I Comuni dell’Ambito distrettuale di Lecco intendono affidare la gestione dei servizi sociali in forma associata ad una Società mista a maggioranza privata con la qualifica di “Impresa Sociale”. CGIL CISL UIL di Lecco, valutato il progetto, le motivazioni che lo sostengono ed il percorso attivato, esprimono le seguenti considerazioni critiche.
1) Necessità di garantire servizi omogenei su tutto il Territorio Tra i comuni della provincia di Lecco è ormai quasi unanimemente condivisa la necessità di una Gestione Associata dei Servizi Sociali. In questa direzione è andato il vigente Piano di Zona “unitario”, costruendo i presupposti di un Piano “unico” a partire dalla prossima triennalità 2018/2020. Il territorio provinciale continua a presentare differenze importanti nella disponibilità di servizi per i cittadini, derivanti da una differente articolazione geografica e morfologica del territorio, dalla quale derivano anche bisogni diversi. Una differenza evidente nei tre rispettivi ambiti territoriali, ma che dovrebbe essere ricondotta ad una situazione di omogeneità e pari opportunità per i cittadini di accesso e fruizione dei servizi e ciò può avvenire attraverso una valutazione analitica del bisogno e conseguente programmazione dei servizi, funzioni queste in capo ai Comuni, che deve essere ben distinta da quella relativa a chi eroga le singole prestazioni.
2) Un modello sperimentale Il Progetto è sostenuto da uno Studio di Fattibilità realizzato da esperti di tutto rispetto. Si tratta tuttavia di una sperimentazione senza precedenti a livello nazionale. L’incalzare del tempo sulla scadenza dell’appalto ha indubbiamente accelerato i tempi. Pareva tuttavia utile, in ragione dell’importanza strategica della scelta, una comparazione più analitica con le criticità ed i punti di forza di altri modelli più collaudati, anche se migliorabili, come ad esempio l’Azienda Speciale.
3) Gli asseriti vantaggi della forma societaria A favore del progetto viene vantata la flessibilità di gestione. Ma l’inserimento futuro di nuove attività, aggiuntive rispetto a quelle già affidate con l’evidenza pubblica, richiederebbe una nuova specifica gara d’appalto riproponendo il modello appunto dell’appalto che si vorrebbe superare. La durata della vita della Società stabilita fino al 2060, rischia di essere nel tempo un ulteriore elemento di rigidità che, nel caso di futuri ripensamenti ostacolerebbe la scelta di altre forme gestionali.
4) La presenza del Socio Privato a maggioranza La forma “Impresa sociale”, comporta che il socio privato possegga la maggioranza del Capitale Sociale. La questione riveste notevole importanza perché significa la partecipazione della Pubblica Amministrazione ad una società in situazione di minoranza, quindi senza la possibilità di condizionare le decisioni aziendali e tuttavia dovendone assumere la corresponsabilità anche qualora non condivise, di fronte ai cittadini. Lo SDF sostiene che il problema non sussiste grazie ai poteri di regolazione che permangono in capo ai Comuni, che restano sempre titolari dei servizi affidati al gestore (atti di indirizzo, atti di gara, contratto di servizio, patti parasociali, vigilanza e controllo, accesso agli atti etc.). In un appalto tradizionale, alcuni di questi strumenti sono normalmente utilizzati per il continuo monitoraggio dei servizi erogati dal gestore. Nel caso della società mista prevista da questo progetto, il rischio è che in assenza di una forte e costante attenzione della politica al territorio, le conoscenze e le competenze tecniche detenute dal Socio privato rischiano inevitabilmente di indebolire la capacità di controllo da parte dei comuni e di far prevalere logiche di delega a favore dell’esperto.
5) La scelta del Socio Privato L’impianto della gara prevede l’accesso di un unico socio in grado di erogare l’intera quantità dei servizi conferiti dai comuni, confermando in questo aspetto il modello in atto. Non è in discussione la qualità dei servizi erogati fino ad oggi. Si pone tuttavia un legittimo dubbio se non sia invece opportuno consentire la partecipazione di più soggetti che conferiscano alla società singoli settori di attività, rilanciando una maggiore pluralità dell’offerta sul territorio.
6) La separazione delle Funzioni di Programmazione da quelle di Gestione dei Servizi Il principio della separazione tra funzione programmatoria e funzione gestionale stabilito DGR 2941/2014 (Linee di indirizzo per i Piani di Zona 2015/17) ed alla L.R. 23 /2015 (Evoluzione del Sistema Sociosanitario Lombardo) è questione centrale nel tema in discussione e si pone l’obiettivo di superare il conflitto potenziale nella coincidenza di soggetti tra chi progetta e decide strategie ed allocazione di risorse e chi queste strategie deve attuare e queste risorse deve impiegare. Il modello proposto lascia ancora spazio a qualche dubbio. La presenza dei comuni, come socio pubblico nella società mista cioè nel soggetto erogatore, ripropone il medesimo problema. Come possono i comuni, agire senza conflitto in un contesto dove svolgono contemporaneamente nell’Ambito distrettuale la funzione di programmazione e nella Società mista assieme al socio privato la funzione di gestione? Di nuovo si pone il problema delle garanzie che la funzione programmatoria in capo all’Ambito distrettuale possa svolgersi al meglio sulla base di elementi di conoscenza della realtà, lettura della domanda e possesso dei report sull’attività svolta, che pervengono dal soggetto gestore che è il socio privato. Il problema non è la diffidenza verso le capacità o il reale carattere no profit del possibile gestore privato. L’esperienza di questi anni è rassicurante. Occorre in ogni caso rilevare che nel modello proposto si annida comunque il rischio che emerga la presenza di soggetti che non abbiamo le stesse caratteristiche di competenza e reali finalità non lucrative. Anche per queste ragioni vi è la necessità che la funzione della programmazione sulle scelte della governance permanga saldamente in mano pubblica in tutti gli aspetti perché il pubblico risponde direttamente ai cittadini elettori. Mentre il privato, anche il privato sociale, che opera senza finalità lucrative, ancorché ispirato al bene comune non è assoggettato ai cittadini. E mentre è accettabile ed auspicabile che contribuisca alla formazione delle decisioni amministrative, queste devono sempre restare saldamente in capo agli amministratori.
7) Ruolo delle associazioni di volontariato Il fondamentale ruolo svolto dalle associazioni del volontariato nel campo dell’erogazione dei servizi sociali non sembra confluire nel progetto all’interno della Società, ma sembra potersi regolare attraverso convenzioni e Patti. Si tratta con evidenza di soluzioni applicabili anche con altre forme gestionali.
8) Conclusioni Dagli elementi attualmente in nostro possesso riteniamo che la scelta lasci indubbiamente aperti alcuni problemi vecchi e margini di aleatorietà alle soluzioni ai nuovi problemi che prospetta, specie per quel che concerne conflitto di interessi e separazione fra programmazione e gestione. Non si tratta qui di sostituire all’ipotesi in esame, una soluzione alternativa già pronta come può essere Retesalute. Anche in quel caso esistono aspetti critici che debbono essere risolti. Riteniamo invece opportuno aprire un confronto a largo raggio tra tutte le esperienze in atto sul territorio e che si giunga, sulla base delle criticità sopra esplicitate, a partire dal coinvolgimento dei diversi soggetti del privato sociale presenti nel lecchese, a garantire ai cittadini una uguale opportunità di fruizione dei servizi sociali. Proprio a partire dalle considerazioni svolte, pare plausibile pensare a una forma di gestione associata dei Servizi Sociali che valga per l’intero territorio provinciale.
Le segreterie territoriali CGIL – CISL – UIL