LECCO – “Chiudono, dopo quattro incontri, Gli Stati generali del Welfare Locale Bene Comune. Si potrebbe concludere con la strepitosa canzone di Mina…parole, parole,parole….che i “vecchi” ricordano. Con sullo sfondo un altro strepitoso Alberto Lupo. (Carneade, chi era costui?)
Dicendo che intanto: non si è parlato di welfare, a meno di ridurre il Welfare ai “servizi sociali”; non si sono realizzati “stati generali” a meno di pensare che gli Stati generali siano problemi di rimotivazione di quelli che in genere sono i “sottopagati operatori” sia che siano (sempre più pochi) dipendenti pubblici o ancor meno pagati dipendenti precari di cooperative; non si è poi per niente parlato di beni Comuni. E si è stato poco pertinenti e fuorvianti nei temi individuati: lavoro, casa e anziani.
E tuttavia la “cosa” potrebbe non risultare del tutto inutile. Bisognerebbe porre a tema il problema dell”agire comunitario. E della Comunità. Come in modo molto incompiuto hanno provato a cimentarsi i due sociologi d’occasione, Aldo Bonomi prima e Luca Fazzi dopo.
Ha senso l’agire Comunitario e che cosa è?!. Ha provato a rispondere anche l’Assessore Mariani nella giornata di venerdì. Coadiuvato dalle provocazioni intelligenti dell’Assessore di Como Magattti.
Mariani ha provato a dirci che bisogna porre stop al tentativo ormai già prevalente di monetizzare il “sociale”. Da qui, dico io, l’esigenza di Comunità. Che si trasforma nella capacità di innestare processi adeguati, che necessariamente non possono riguardare il solo comparto delle politiche assistenziali (confuse riduttivamente con il Welfare State Locale).
Politiche di non monetizzazione e quindi di non privatizzazione ed esternalizzazione. Se si è coerenti vuol dire porre fine a un modello misto di “innovazione sociale”e anche di quella versione illusoria che ha nella coprogettazione, fintamente rilanciata al Convegno, il suo caposaldo locale. Ma vuol dire anche immaginare politiche sociali, a tutto tondo, non segmentate e categorizzate, che coinvolgano complessivamente e in modo complesso l’intero agire della amministrazione pubblica locale. Questo sarebbe un principio di agire comunitario. Da cui, nonostante l’enfasi siamo distanti tantissimo. E questo bisognerebbe mettere a tema negli Stati Generali del Welfare 2017.
Per inciso vuol dire fare una scelta a favore del pubblico ed eventualmente di aziendalizzazione sociale e quindi immaginare aziende sociali come espressione della realizzazione di beni comuni. E quindi partecipate. A cominciare dai cittadini e dalle loro reti. Si tratta insomma di realizzare una democrazia partecipata. Altro che coprogettazione, che solo casualmente e incidentalmente è collegata al territorio. Al mondo della competizione globale un poll di cooperative sociali del territorio non può sottrarsi. E neppure paradossalmente un “territorio” in vendita.
Cerchiamo però di capire concettualmente quali siano i limiti di queste “buone intenzioni”.
La prima è la incoerente comprensione dell’ecosistema pubblico dell’innovazione sociale. Ovvero del Welfare State. Che non è stato un errore “statalistico” e non è una ipertrofia statalistica. E’ stato semplicemente il risultato necessario di superare la monetizzazione dei rapporti sociali a cominciare dal lavoro, che ormai portavano a crisi insuperabili (La crisi degli anni trenta).
Questo fu l’invenzione beveridgiana dello Stato Sociale. Che oggi, però, è in crisi. Né di più né di meno. Se non c’è terza via (Stato misto: pubblico-terzo settore-privato) che abbia risolto alcuni problemi dello Stato Sociale, quale la parcellizzazione della risposta ai bisogni, o la sua ,in taluni casi eccessiva rigidità, anche locale, non bisogna pensare che ciò non sia anche dovuto ,non ai limiti dello Stato Sociale in sé stesso, ma alla gestione spesso assistenzialistica ( e clientelare) dello stesso. Specie in Italia. Non così in Svezia.
Ma la crisi dello Stato Sociale è più fondamentale. Quelle richiamati sono solo accidenti, scambiati con la natura dello stesso Stato.
L’agire sociale comunitario e l’innovazione sociale allora si innesta qui. Alla foce di una crisi dello Stato Sociale, i cui sintomi non devono essere scambiati con le cause. Lo stato sociale, nato sulla crisi della riproduzione dei puri rapporti mercantili di lavoro, li ha in parte superati con una doppia logica: quella dell’universalismo dei servizi (accesso universale) e della loro gratuità. Oggi così spesso messi in concreta discussione. In nome dell’aforisma fallace della triste scienza che nessun pasto è gratis. Come se il sorriso di vostra madre dovesse essere ri-pagato”.
Alessandro Magni