DAY-HOSPITAL/17: nel lecchese circa
300 persone in dialisi

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LECCO – Sono poco meno  di 300  i pazienti che vengono costantemente sottoposti alla dialisi nel nostro territorio. Che si tratti di emodialisi o di dialisi peritoneale, questo è il numero relativo alle persone che quotidianamente fanno i conti con una grave insufficienza renale e che, proprio per questo, necessitano di terapie capaci di sostituirsi alla funzione dei reni. Di questi pazienti, 130 sono a giorni alterni in emodialisi al Manzoni di Lecco, 40 al centro di Oggiono, 45 a quello di Merate e 15 a Bellano. Una quarantina, poi, i pazienti che hanno optato per la dialisi peritoneale, tipo di tecnica che, come spiegheremo più avanti, può essere eseguita a domicilio, mentre i casi di trapianti si aggirano intorno alla quindicina scarsa all’anno.

Questi, quindi, i dati più interessanti relativi al reparto di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Manzoni di Lecco, protagonista della diciassettesima puntata della rubrica Day-Hospital.

Abbiamo incontrato, quindi, il direttore Giuseppe Pontoriero, il quale ci ha guidato alla scoperta di un reparto che, accanto alla dialisi, si occupa di diagnosticare patologie legate al malfunzionamento dei reni e di intervenire con la terapia più idonea. Dopo una laurea conseguita a Milano nel 1981, il dottor Pontoriero si è specializzato in Nefrologia e dall’84 lavora all’interno della struttura lecchese. Dapprima responsabile della dialisi ospedaliera, da novembre 2011 è diventato direttore del dipartimento e attualmente è presidente entrante della Società di Nefrologia Lombarda.

“La nostra attività – ci racconta – si divide fondamentalmente in due parti. Da un lato abbiamo gli ambulatori, ciascuno specializzato su un particolare disturbo, dall’altro c’è la degenza e il day-hospital, dove ogni anno effettuiamo circa 900 ricoveri per patologie renali di qualsiasi tipo. Per quanto riguarda la parte ambulatoriale – precisa – l’obiettivo è quello di occuparci sia di pazienti con insufficienze renali, sia di persone che al momento hanno sviluppato malattie che potrebbero sfociare in questo tipo di problematica. Ipertensione, diabete e glomerulonefriti, ad esempio, possono in certi casi portare con sé forme di insufficienza renale e, proprio per questo, è bene tenere simili patologie sotto controllo. Ci sono, poi, dei legami anche tra le malattie renali e casi di anemia, disturbi ormonali, intossicazioni e altre problematiche. Per questo – prosegue – spesso ci occupiamo anche di patologie come quelle elencate: sappiamo, infatti, che dietro di loro può nascondersi qualche problema di tipo renale”.

Ma veniamo, quindi, alle insufficienze considerate gravi, ossia quelle che impediscono ai reni di svolgere più del 10 % della loro normale funzione. In questi casi diventa determinante intervenire con una tecnica capace di svolgere l’attività dei reni. Si tratta, come si sa, della dialisi.

Emodialisi, dialisi peritoneale manuale e dialisi peritoneale automatizza notturna. Queste le tre possibili forme di dialisi, che fondamentalmente differiscono per procedimento e per grado di dipendenza del paziente dall’ospedale. “Quando ci troviamo di fronte a un soggetto con queste problematiche – ci spiega l’infermiera della dialisi Marzia Todeschini – il primo passaggio fondamentale è quello di metterlo nella condizione di capire la malattia e di scegliere con quale terapia procedere. Il corso di educazione che abbiamo chiamato Progetto Ariel risponde proprio a questa esigenza, ossia di spiegare al paziente le tecniche di intervento e i pro e i contro di ciascuna, così che possa innanzitutto superare la prima fase di riluttanza che la dipendenza dalle macchine normalmente genera e successivamente decidere per quale forma di dialisi optare”.

Nel primo caso, quello della emodialisi, “il paziente deve recarsi a giorni alterni in ospedale – riprende il primario – e, una volta messa in azione la macchina, il sangue viene prelevato dalla fistola e depurato attraverso il filtro di dialisi. C’è invece chi – prosegue – preferisce la dialisi peritoneale”, tecnica che permette la depurazione del sangue all’interno dello stesso organismo del paziente grazie a una membrana naturale contenuta nell’addome, ossia il peritoneo. “Un catetere posto sotto l’ombelico – spiega Pontoriero – immette quattro volte al giorno due litri di soluzione in grado di depurare il sangue”. Rimane, infine, l’opzione della dialisi peritoneale automatizzata notturna, particolarmente indicata per chi durante il giorno è impegnato e, quindi, preferisce utilizzare una macchina che in otto ore notturne depura il sangue. “Questo significa – riprende Todeschini – che il paziente deve avere lo strumento a casa propria, accanto al letto. La scelta di uno o l’altro metodo dipende dalle esigenze della persona: i soggetti un po’ più giovani spesso optano per l’ultimo dei tre, così che durante il giorno possano svolgere una vita normale, mentre i più anziani trovano sollievo nelle attenzioni del personale ospedaliero, anche se questo implica che qualcuno deve accompagnarli sul posto”.

“Accanto alla dialisi – interviene nuovamente il primario – rimane la possibilità del trapianto, soprattutto per i pazienti più giovani. In questo caso spesso si inizia con una delle tecniche di depurazione artificiale in attesa del momento del trapianto, quest’ultimo effettuato a Milano. Ogni anno ne contiamo in media quattordici”.

E cosa dire, infine, della degenza? A parlarcene è  il coordinatore infermieristico, Silvana Brambilla, che racconta come i pazienti ricoverati siano “generalmente di età compresa tra i 50 e i 75 anni e necessitino di un’attenzione a 360°. Il paziente nefrologico – spiega – rappresenta un carico assistenziale notevole, tanto che capitano casi di degenza per due settimane. È necessaria un’attenzione continuativa, anche – conclude – dal punto di vista psicologico”.