PREMANA – Lo fermiamo con le valigie in mano, pronto per la vacanza con la famiglia. Il capitolo Giir di Mont, quest’anno in salsa mondiale, è doveroso archiviarlo incontrando Fausto Rizzi, premanese doc, classe 1975, unico atleta ad aver corso e portato a termine tutte e 19 le edizioni (nuova versione) dal 1999 a oggi. Fausto Rizzi è prima di tutto un amico e, come si conviene a Premana, ci si saluta con un bicchiere. Uno, due… siamo pronti per l’intervista?
“Vai”.
Beh, visto come abbiamo iniziato partiamo dalla dieta. “Ma quale dieta! Cerco di avere un attimo di riguardo a tavola nei periodi più importanti, ma se dovessimo trovarci in compagnia e c’è una torta e una bottiglia di vino stai sicuro che se non le finisci tu, le finisco io”.
Tanto poi si brucia con gli allenamenti. “Qualcosa si fa. Ma a differenza di una volta non mi impongo più programmi e tabelle, seguo la voglia. Adesso corro per divertirmi: faccio quello che mi va di fare”.
‘Qualcosa si fa’, intendi un paio di giorni o tre alla settimana? “No, nei periodi più importanti mi alleno anche 4, 5 o 6 volte alla settimana. Una volta, invece, mi allenavo 7 giorni su 7. Le sedute vanno dall’ora e mezza alle tre, quattro ore quando devo allenarmi sui percorsi lunghi. Come ho detto corro per divertimento non per lavoro o per vincere. Oggi, poi, il livello è talmente alto che anche se mi allenassi 10 volte a settimana comunque quelli forti resterebbero sempre altri”.
Ne hai di tempo quindi – la mano passa prima tra i capelli, poi sul viso con gli occhi che incrociano subito quelli della moglie Marta – “Mi alzo alle 7, colazione veloce, lavoro 10-11 ore al giorno e poi se non ho altri impegni vado a correre”.
Marta dice che il tempo per allenarti lo trovi sempre e che bene o male tutti giorni fai qualcosa, basta non stare a casa. Come la mettiamo?
“No, tutti i giorni no. Può succedere che esca più spesso in alcuni momenti, anche se, alla fine, ha ragione Marta: basta non stare a casa” e ride.
Lavoro, famiglia, allenamenti, gare. Ci sarà un segreto per riuscire a conciliare tutto. “E’ merito soprattutto di mia moglie che mi sopporta; ma credo che in fondo anche a lei piace che faccia sport. Poi non tutte le giornate sono uguali: quando pensi di finire ti ritrovi con un lotto da completare o la macchina che si rompe e i programmi saltano. Ma è anche vero che in qualche modo cerco sempre di ritagliarmi del tempo, magari andando a correre durante la pausa pranzo o tardi la sera”.
Lotto da finire, macchina che si rompe… forbici o coltelli? “Sono coltellaio per tradizione, prima mio padre e prima ancora mio nonno. Insieme a mio fratello Davide e mio cugino Danio portiamo avanti l’azienda di famiglia la ‘Fratelli Rizzi’ che ha dato vita al marchio Maglio Nero”.
In famiglia sei l’unico che corre? “Siamo 5 fratelli, due difficilmente possono correre dato che uno è prete e l’altra è suora, mentre Davide correva ma per motivi lavorativi ha smesso anche se ha nel suo curriculum il Giir di Mont e una maratona. Poi c’è Lara che corre”.
E’ forte?
“Diciamo media”.
Parlando di questa intervista in redazione, qualcuno è ‘uscito’ chiedendo, ma perché corre? Ti giro la domanda… “Sai che me la faccio anche io? Ti verrà da ridere ma quando corro viaggio con la mente e con i pensieri e a volte mi capita di immaginare di essere al Giir di Mont, di tagliare il traguardo, di essere intervistato e di dover rispondere proprio a questa domanda. Non so perché corro, potrei dare tante risposte: passione, soddisfazione, sfogo. Mi piace lo sport, ma la corsa per me è la cosa più naturale. Un bambino quando nasce e riesce a stare in piedi la prima cosa che fa è correre. C’è poi un aspetto paradossale: in questa vita tutta di corsa, io riesco a fermarmi solamente quando corro. Maglietta, pantaloncini, scarpe e via… io corro, ma il mondo intorno a me si ferma”.
E questa passione da dove scaturisce? “Nei giorni scorsi credo di aver capito qual è stato il momento in cui mi sono innamorato della corsa. Ai mondiali qui a Premana ho rivisto Fausto Bonzi, forte atleta degli Anni ’80 e ’90. Fino a 25 anni fa, a Premana, facevano una gara a staffetta più o meno sullo stesso percorso del Mondiale di quest’anno, su distanza Classica. Ricordo che con mio cugino eravamo in località Pianch e vidi Bonzi e compagni sfrecciare giù per il sentiero, dopo 30 anni mi è tornata in mente quell’immagine e il pensiero che feci: ‘Un giorno anche io correrò così’. Forse anche per via del fatto che Bonzi ha il mio stesso nome ed è piccolo come me!”.
Amore a prima vista? “No, ho giocato anche a calcio e sono passato anche dall’arrampicata, poi ho capito che devo correre. Il punto di svolta è stato il 1999 con la nuova edizione del Giir di Mont. Mi ha affascinato così tanto questa disciplina che non l’ho più abbandonata”.
Nel modo verticale come te la cavavi?
“Ho fatto qualche via con difficoltà 7b – 7b+ soprattutto in falesia”.
Nel calcio?
“Lasciamo perdere”.
Torniamo a noi e facciamo un po’ i romantici: cos’è per te la corsa? “E’ relax, è staccare la spina e poi ti dà grandi soddisfazioni perché, a differenza degli sport di gruppo, sei tu che decidi di dare e quanto dare, e se hai un po’ di talento lo puoi far emergere. Ti misuri con te stesso. Alla fine è una lezione di vita, sei tu che credi in una cosa, ti impegni, lavori, alla fine i risultati arrivano. Niente arriva per caso”.
E’ quello che cerchi di spiegare ai tuoi figli? “Certo. Si dice che l’importante è partecipare. Non sono d’accordo e non sono d’accordo nemmeno con chi dice che l’importante è vincere. Per me l’importante è mettercela tutta. Credici, impegnati, allenati, poi se mettercela tutta significa arrivare ultimo non fa niente. Va bene così, ma sai di aver dato il massimo. Se invece arrivi in fondo e sai che potevi fare di più allora non va bene”.
E’ un consiglio che possiamo dare anche ai giovani? “Ovviamente. Fate sport, non per forza la corsa. Io prediligo quelli individuali e di fatica, ma vanno bene tutti. Poi bisogna essere onesti, anche a me piace giocare a biliardo, ma così sarebbe troppo comoda. Se scegliete la corsa, ponetevi un obiettivo, iscrivetevi ad una gara e non fate l’errore di correre contro gli altri. Correte contro voi stessi e il cronometro. E quando c’è da allenarsi andate in compagnia che è più divertente. E se vi accorgete che la corsa sta diventando un’ossessione, fermatevi”.
Facciamo un passo indietro. Hai detto che la corsa ti rilassa. Ci spieghi come fai a rilassarti facendo 32km e 2400 metri di dislivello in meno di 4 ore, per la precisione 3h 42′ 03” (personale al Giir di Mont nell’edizione 2017). “Calma, calma. In allenamento mi rilasso, durante una gara no. Dopo un allenamento torni stanco ma è una sensazione che ti fa stare bene: fai una doccia, bevi una birra, questo è relax. In gara non c’è mai relax. Ci sono tuttavia soddisfazioni. Quando concludi 32 km e arrivi al traguardo è bello, ti dà carica. Poi se riavvolgi il nastro, ti accorgi che un attimo prima stavi per dire ‘è l’ultima volta’, e invece tagliato il traguardo ti ritrovi a pensare già alla prossima gara”.
Di gara in gara, quante ne avrai fatte? Le hai mai contate? “Con precisione no, ma possiamo fare una stima. Se teniamo conto anche delle campestri che facevo da ragazzino quando avevo 8/10 anni credo più di 1500. Se ci limitiamo all’epoca ‘moderna’, da 20 anni a questa parte, calcolando che in media faccio 25 gare all’anno saranno su per giù 500 skyrace.
Torniamo al Giir di Mont, quest’anno edizione speciale in occasione del Mondiale. Volevi fare bene e sei riuscito alla grande. “Sono molto contento. Volevo migliorare il mio tempo personale e sono riuscito. L’ho abbassato di una decina di minuti (3h 42′ 03” ). Sapevo di poter fare bene perché sono andato forte anche nelle gare precedenti. Ci tenevo molto. Con gli anni ho imparato a gestire bene il Giir, l’esperienza aiuta, ma anche un po’ di allenamenti”.
Li hai fatti tutti e 19, senza mai mollare e arrivando sempre al traguardo, non ti senti un po’ speciale? “Speciale? No, mi sento fortunato perché ci vuole anche quella. Infortuni gravi non ne ho mai avuti. Adesso che so di avere questo record, può darsi che se l’anno venturo non starò tanto bene correrò comunque e cercherò di finirlo”.
C’è chi sostiene che è più facile che non venga più organizzato il Giir di Mont che vedere te appendere le scarpe al chiodo… “Intenzioni di smettere non ne ho, ma non credo nemmeno chi organizza il Giir di Mont, anche se qualcuno ogni tanto lo dice scherzando. Io per qualche annetto vado avanti ancora anche perché altrimenti la pancia lievita”.
Cosa temi di più del Giir di Mont? “La prima salita è la più dura, però la fai da fresco e la subisci meno. Io capisco se sono in giornata sulla seconda salita, perché dopo aver fatto la prima e la discesa hai 15 minuti di pendenza dove devi correre e correre bene, lì capisco se sono in giornata oppure no. Poi la terza e ultima salita è dove si decide la gara. Però si torna al discorso di prima. Se sei preparato bene, se hai fatto i ‘lunghi’ giusti vai, altrimenti arrivi alla terza salita e cala la notte. Io cerco di non forzare troppo sulla prima, di difendermi sulla seconda e sulla terza do tutto, poi in discesa come si dice ‘i nevà da i sass’ (vanno anche i sassi, ndr)”.
Genetica, testa, allenamento, qual è l’aspetto che incide di più. “Contano tutti, ma a mio avviso è la testa la più importante. Certo la genetica ci vuole, c’è chi può correre una vita e non arriverà mai in alto, ma la testa è quella che fa il resto. Poi bisogna saper soffrire, tenere duro, ed essere capaci di tirar fuori tutto al momento giusto e questo avviene se hai la testa. La testa è ciò che fa di un atleta forte un atleta fortissimo… che non sono io”.
E la scaramanzia? Hai qualche rituale che non hai mai confessato a nessuno? “No, non sono scaramantico e non ho riti, anche se a far la barba parto sempre dalla destra. L’unica volta che sono partito da sinistra è capitata una bella cosa, ma la dirò in un’altra intervista. Non lo sa neanche mia moglie, ma è stata una grande giornata”.
Marta deve preoccuparsi?
“No, no per l’amor del cielo!”.
Torniamo al Giir di Mont. Come lo si vince? “Aaaa non chiederlo a me! Ormai il livello è alto, tutti gli anni si sfidano grandi campioni ed è chiaro che se arriva un Petro Mamu o un Kilian Jornet Burgada parliamo non di grandi atleti ma di grandissimi campioni che hanno una marcia in più. Quando ai nastri di partenza ci sono tre o quattro di loro se la posso giocare tutti e il Giir lo vince chi trova la giornata dell’anno. Credo che ognuno di questi campioni se si mettessero a pensare alle gare fatte nella loro vita sicuramente ne ricorderebbero una dove possono dire: “Quel giorno le gambe andavano che erano una meraviglia”.
Insomma è un po’ come trovare il gol della domenica.
“Esatto, come un gol in rovesciata alla Jean Pierre Papin”.
Milanista?
“Ovviamente”.
Beh almeno un difetto l’abbiamo trovato.
Che consiglio dai a chi vorrebbe correre il Giir di Mont, ma è titubante? “Di iscriversi tre mesi prima. Non bisogna aver paura, non è l’Everest. Non va preso sotto gamba ma una persona che va dai 18 ai 50 anni con un pò di camminate lunghe e qualche corsetta lo fa”.
Difficoltà per difficoltà, qual è stata la gara più dura per te. “Una fatta a Livigno di 42 km. Forse non ero tanto motivato e in più da metà gara in avanti a 3mila metri di quota mi sono ritrovato sotto un temporale tra fulmini e saette; lì, mi sono chiesto: ‘chi me lo fa fare. Ho a casa una famiglia perché rischiare?’ In un attimo mi è passata la voglia di correre”.
E poi?
“Il mese dopo ho fatto il Giir di Mont e mi è tornata subito. Però in quell’occasione mi sono reso conto che i rischi che mi prendevo 10 – 15 anni fa adesso non li prenderei più”.
E tolto il Giir di Mont la gara per te più bella? “E’ la maratona. La corsa, per me, è lo sport per eccellenza e la maratona è la regina. Se invece parliamo di skyrace, credo che a livello tecnico e per bellezza dei paesaggi la migliore è il Kima”.
Ci sono gare che non hai fatto e che vorresti fare? Ma prima di questa domanda ci parli dell’ultima maratona: dove l’hai corsa e com’è andata? “L’ultima è stata a novembre a Firenze. Niente male, ho chiuso in 2h 47′. Mentre tra le skyrace che mi piacerebbe fare è la Jungfrau Marathon. Ti avrei risposto la Sierre – Zinal ima l’ho corsa dieci giorni fa”.
Mai pensato al Tor De Geants (330 km per 22mila metri di dislivello)? “Tutte le volte che lo fa qualche premanese lo seguo in internet e mi esalto. Mi fa un po’ paura ma non lo escludo al 100%”.
Giovani promettenti a Premana ne vedi? “Mattia Gianola, classe 1992, è un ottimo atleta e può fare molto bene. Tra i giovanissimi qualcuno di forte c’è, staremo a vedere se si perderà o se sboccerà”.
Sogni ne hai ancora? No beh, non fare quella faccia lì, non intendevo uscire con Naomi Campbell!
“Sì, anche perché ormai è vecchia…”.
Oddio, ha quasi la tua età.
“Appunto! Scherzi a parte, no, non credo di averne. Anche se, quest’inverno correndo la Maratona di Firenze, senza averla preparata al meglio, sono stato sopra di poco al mio tempo personale e non sono calato rispetto ai tempi di 10 anni fa. Un calo fisiologico c’è, si fa più fatica nei recuperi, ma usando un po’ di esperienza e tenendo la testa bassa, si posso fare ancora buoni risultati. Non è un sogno ma va bene cosi”.
Aneddoti ne hai? “Kima 2003 – dovevo imparare ancora tante cose – vado a comprarmi le scarpe nuove due giorni prima della gara e senza accorgermi compro un paio di scarpe da donna. Le metto un’ora al sabato per vedere come vanno e domenica corro. Mi piazzo bene, ma gli ultimi chilometri li ho fatti con le dita dei piedi tirate indietro. Risultato: il giorno dopo 9 unghie nere su 10. Ecco forse la gara dove ha sofferto di più è stata questa. Ma come avrai capito è colpa delle donne”.
Abbiamo quasi finito. Cosa ne pensi dei Mondiali a Premana. Ti sono piaciuti? “Spettacolari. Un plauso agli organizzatori, a chi ci ha creduto. Quando hanno iniziato a parlare di mondiali c’era il timore di non riuscire, invece Premana ha risposto bene, anche la gente che è arrivata è stata contenta. E’ stato uno spettacolo”.
Aiutaci a capire come riesce la piccola Premana ad organizzare grandi eventi come i Mondiali di corsa in montagna o il biennale appuntamento con Premana Rivive l’Antico (più di 5mila visitatori in due giorni)? “Il segreto è che la gente di fronte ad un evento di una certa importanza aiuta. In 5 puoi inventare tutto ma se non hai 200 – 300 persone che ti supportano non ce la fai. E poi ritengo ci sia un pizzico di orgoglio da parte dei premanesi nel far vedere che, anche se siamo in fondo al mondo e la strada finisce qui, qualcosa di bello riusciamo ad organizzare anche noi”.
Tra grandi e piccoli eventi, due anni fa è nata anche la “tua” Solino in ’20. “Sì, tre anni fa c’è stato un prologo, al quale sono seguite due edizioni. L’idea di un vertical Premana – Solino con premi a chi sta sotto i ’20 minuti è un’idea nata in alpeggio chiacchierando con Domenico Ratti. Avevamo bisogno di racimolare soldi per cambiare l’acquedotto di Solino e all’alpeggio servivano 500 euro. Nel contempo in allenamento si provava il percorso e abbiamo visto che salire da Premana a Solino in ’20 minuti o poco meno era cosa difficile ma non impossibile per certi atleti. Così è nata la Solino in ’20”.
E con l’acquedotto com’è finita?
“Adesso è a posto”.
C’è chi ha detto che i veri atleti sono quelli come Fausto Rizzi che mangiano, bevono, a tavola non si tirano mai indietro e poi fanno grandi cose al Giir di Mont. “Adesso non esageriamo. I veri atleti sono altri. Al mio livello preferisco godermi la vita. Se dovessi stare a guardare gli etti di pasta, il bicchiere di vino in più o in meno scoppierei mentalmente e non sarebbe più divertimento…”.
A proposito cosa ti piace di più a tavola?
“Beh, una bella fiorentina ha sempre il suo perché. Abbiamo finito?”.
Si, direi di sì.
“Una birra che ho la gola secca?”.
Ma sì. Salute Fausto Rizzi, ad altre 500 e più skyrace e che la vita possa continuare fresca, spumosa e frizzante come la nostra birra. Cin!