A processo per truffa, il pm chiede 2 anni per il gioielliere Carlo Riva

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LECCO – 2 anni di reclusione e 1.000 euro di multa. Questa la richiesta di condanna formulata dal Pubblico Ministero Paolo Del Grosso, nei confronti del gioielliere Carlo Riva, accusato di truffa aggravata.

Il magistrato ha ritenuto colpevole l’imputato di 3 capi di imputazione, nei confronti di altrettante vittime costituite parte civile nel procedimento giudiziario, già ascoltate dal giudice Nora Lisa Passoni. Persone, conoscenti, in due casi amici, a cui Riva avrebbe chiesto ingenti somme di denaro in prestito oppure investimenti in beni preziosi con la promessa di alti interessi, salvo poi non saldare il debito. Una condotta ‘ingannatoria e truffaldina’ come dichiarato dal pm Del Grosso e che, stando alle testimonianze rese in Aula dai truffati, avrebbe lasciato sul lastrico intere famiglie.

L’udienza di oggi, martedì, avrebbe dovuto avere come protagonista proprio l’imputato (difeso dall’avvocato Ruggero Panzeri) per l’esame testimoniale. L’assenza è stata giustificata con l’asma da allergia che non avrebbe permesso a Riva di presenziare in Aula.

La storia del gioielliere truffatore Carlo Riva era stata protagonista di una puntata delle Iene su Mediaset


Nella sua requisitoria il pubblico ministero ha ribadito più volte l’utilizzo, da parte dell’imputato, di artifici e raggiri per farsi prestare il denaro
. “Un conto – ha esordito – è prestare dei soldi con la garanzia della distribuzione, un conto è se questa distribuzione patrimoniale viene condotta con azioni fraudolente”. Le storie delle vittime, secondo il pm, parlano chiaro. Ricordato ad esempio il caso del giovane studente (19enne all’epoca dei fatti) ‘raggirato’ con un diamante e un orologio d’oro finti e che oggi avrebbe in attivo con il gioielliere un debito di 28 mila euro, somma che sarebbe stata consegnata dal ragazzo (un po’ in contanti e un po’ in assegni) tra l’aprile e il novembre 2011.

Ridotta invece la colpa dell’imputato in relazione ai fatti contestati da altre tre vittime: si tratta del 38enne lecchese Simone Piana e della madre, che durante la testimonianza avevano denunciato un debito totale di 482 mila euro.

Se sulla vicenda di Piana il pubblico ministero ha riconosciuto una condotta  fraudolenta da parte di Riva (nello specifico l’incasso di assegni in garanzia per 80 mila euro dati dallo stesso Piana) lo stesso non è stato per la madre: per la pubblica accusa la signora non avrebbe infatti ricevuto pressioni o raggiri per prestare del denaro al gioielliere ma lo avrebbe fatto in ragione del rapporto di amicizia e conoscenza che c’era tra Riva e la sua famiglia. Il prestito di oltre 300 mila euro fatto dalla donna inoltre risalirebbe ad un periodo troppo distante (era il 2008), circostanza che ha spinto il pm ha dichiarare la prescrizione e a richiedere l’assoluzione dell’imputato, almeno per il terzo capo di accusa.

‘Alleggerita’ anche la posizione del Riva nei confronti di Stefano Bonifacino, creditore per 100 mila euro come aveva dichiarato durante la sua testimonianza. La richiesta del pm ritiene Riva colpevole della truffa di 40 mila euro.

Visionate tutte le posizioni Del Grosso ha così avanzato le sue richieste, pari a 2 anni di reclusione e al pagamento di 1.000 euro di multa. Una pena non commisurata al reato per gli avvocati di parte civile Arveno Fumagalli e Simona Bove che hanno chiesto di condannare Riva per tutti i capi di accusa. “Il signor Riva ha utilizzato la stessa tecnica di raggiro e inganno con tutte le parti civili di questo processo – ha detto l’avvocato Fumagalli – all’inizio si parlava di un piccolo prestito e poi avveniva il salto di qualità: la proposta di un investimento in beni preziosi con la prospettiva di guadagnarci il doppio dalla vendita. Peccato che nulla di tutto questo sia mai avvenuto e le persone che hanno prestato soldi a Riva o fatto questi investimenti sono rimaste senza niente. Per quanto riguarda la signora Piana, vorrei ricordare che l’imputato l’ha fatta passare per una facoltosa cliente russa che comprava i suoi gioielli e gli assegni presi proprio dalla donna sono stati usati per saldare i debiti con il signor Bonifacino, ci è stato raccontato la scorsa udienza”.

Carlo Riva

“Cioè che forse non è emerso bene nel corso del dibattimento – ha aggiunto la collega Bove – è che i soldi dei prestiti servivano a Riva non per i suoi business da gioielliere o pagare i fornitori, ma per mantenere il suo stile di vita alto e appariscente che ostentava con tutti. Chiediamo la condanna e il risarcimento dei danni per tutti i capi di imputazione”.

L’ultimo a prendere parola è stato il difensore di Riva, Ruggero Panzeri, che ha richiesto, neanche a dirlo, l’assoluzione del suo assistito o in via alternativa la derubricazione del reato di truffa in insolvenza fraudolenta o appropriazione indebita: “Il mio cliente è andato da tutte le persone che lo hanno accusato di truffa chiedendo un prestito per sistemare una situazione di difficoltà economica, per far ripartire la sua azienda. Nessun artificio o inganno. Per quanto riguarda il suo stile di vita ‘ostentato’ come è stato più volte detto io vi chiedo: doveva lanciare un brand di gioielli, cosa doveva fare, nascondersi? Si è fatto da solo, con intuizioni brillanti e ha chiesto a degli amici dei prestiti in un momento di difficoltà. Non li ha ripagati, per ora, ma a mio parere non si può parlare di truffa. Si potrebbe parlare di altri tipi di reati? Di insolvenza fraudolenta? In realtà – ha continuato il difensore – non ci sono gli estremi per questo tipo di reato visto che il mio assistito non ha mai fatto mistero delle precarie situazioni economiche in cui era. E’ difficile da stabilire, anche perchè stiamo parlando di contrattazioni civili e non penali”.

L’udienza è stata aggiornata al 30 maggio per le eventuali repliche e, quindi, la sentenza.

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