Cartelli in dialetto: forte critica di Terra Insubre

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    LECCO – Forse se lo aspettava l’Amministrazione Comunale lecchese che, l’eliminazione dei cartelli stradali con l’indicazione dialettale del nome della città (Lecch), posti agli ingressi della stessa, avrebbe scoperchiato il vaso di Pandora, accendendo un forte dibattito nella comunità e dividendo la cittadinanza tra favorevoli e contrari alla scomparsa di tali insegne.

    Prevedibile l’opposizione della Lega Nord, che ha costruito la propria personalità politica sulla tutela dell’identità culturale della sua terra, e che attraverso il proprio  capogruppo in Consiglio comunale, Cinzia Bettega,  ha  alzato la voce contro la decisione della Giunta del sindaco Virginio Brivio.

    Ora è la sezione lecchese dell’associazione culturale Terra Insubre, attenta studiosa delle radici storico culturali lombarde, ad “esprimere pubblicamente il proprio sdegno e la propria preoccupazione ”.

    Riceviamo e pubblichiamo:

    “La sezione lecchese dell’associazione culturale Terra Insubre desidera esprimere pubblicamente il proprio sdegno e la propria preoccupazione per la rimozione dei cartelli in lingua lombarda occidentale (insubre) posti agli ingressi della città di Lecco. Ci teniamo a ribadire l’importanza della lingua madre come fattore che contraddistingue l’identità di una comunità e come patrimonio inestimabile della stessa.

    Facciamo presente che, sebbene il lombardo venga erroneamente considerato un dialetto dell’italiano a volte anche dai suoi stessi parlanti, i linguisti lo annoverano tra le lingue romanze e attribuiscono la qualità di dialetto alle sue varianti (milanese, brianzolo, laghée…). Purtroppo lo Stato italiano non riconosce un regime di bilinguismo ufficiale nei nostri territori e nemmeno riconosce alla lingua lombarda il rango di minoranza linguistica tutelata. 

    Il risultato è che, sotto la livella delle forze globalizzatrici e omologatrici di quest’epoca storica, sempre un minor numero di persone parlano lumbard e l’UNESCO lo ha definito una lingua in serio pericolo di estinzione.

    Per questo consideriamo il gesto dell’amministrazione comunale lecchese ancor più deplorevole: la furia legalista e giacobina con cui si è mobilitata per sanare una violazione del codice della strada è di tutta evidenza un tentativo malcelato di estirpazione delle radici lombarde della città di Lecco. Sembrerà ai più un fatto banale, ma il valore simbolico della rimozione dei cartelli in lombardo è devastante: è uno sfregio a sentimenti ed affetti collettivi ancestrali, la cui vitalità a certe latitudini preoccupa più che ad altre. E far dimenticare a un popolo chi è e da dove viene è l’arma più potente per condannare la sua esistenza all’oblio della storia.

    Ora campeggia solo l’asettico cartello a sfondo bianco in lingua italiana, espressione e strumento dello Stato accentratore: artificiale, letteraria, pulita. La scomparsa di quello a sfondo marrone rimarca il senso di vergogna che da 150 anni i lombardi devono provare quando si esprimono nella loro lingua, troppo sporca della terra da cui nasce e troppo grezza come la gente che la parla. L’amministrazione comunale, mettendo in atto questa patetica rappresaglia anti-identitaria più che patriottica, ha dimostrato di essere asservita al progetto mondialista di sradicamento e massificazione socio-culturale pianificato dai poteri forti nemici dei popoli.

    Noi di Terra Insubre non dimentichiamo che Lecco è primariamente lombarda, da molto tempo prima che il Risorgimento unisse militarmente le sue sorti con quelle di tutta la penisola italiana, e che il lombardo è la lingua che storicamente si parla su questo ramo del Lago di Como da ben prima che fosse imposto l’italiano come lingua franca. La lingua lombarda, generatasi spontaneamente nel corso dei secoli dalle persone e dalla terra, è specchio fedele del popolo lombardo, della sua mentalità, del suo spirito. La nostra lingua parla inevitabilmente di noi: conservarla e non dimenticarla è una garanzia della nostra esistenza.

    Estirparla è incomprensibile autogenocidio”.