Ospedale. Moratti e Mons. Paglia tagliano il nastro al nuovo Hospice

Tempo di lettura: 4 minuti

Fine vita, inaugurato l’Hospice Resegone all’interno dell’ospedale Manzoni

Letizia Moratti e mons. Vincenzo Paglia per l’apertura. “Diamo dignità ai percorsi di fine vita in ospedale”.

LECCO – “Dare dignità anche in ospedale ai percorsi di fine vita”. Con questa finalità è stato progettato e inaugurato oggi, venerdì, il nuovo hospice Resegone, collocato al terzo piano dell’ospedale Manzoni di Lecco.

Sono una decina i posti predisposti nella struttura che sarà gestita direttamente dall’Unità delle Cure Palliative del Dipartimento delle Fragilità (Difra) e che nasce dall’esigenza di ampliare la possibilità di ricovero e accudimento nella nostra provincia per i malati a termine.

“Un hospice che si chiama come la nostra montagna, che ci sovrasta ed è spesso illuminata dal sole; oggi inauguriamo un reparto illuminato dalla bellezza – è intervenuto Paolo Favini, il direttore generale dell’azienda ospedaliera – Un hospice che chiude la filiera della presa in carico e che sarà fondamentale nella rete delle cure palliative che a Lecco è sempre stata all’avanguardia”.

A luglio era stata il vicepresidente e assessore regionale Letizia Moratti ad annunciare la realizzazione di questa struttura e la rappresentante di Regione Lombardia ha fatto ritorno al Manzoni per il taglio del nastro. Con lei anche mons. Vicenzo Paglia, presidente dell’Accademia Pontificia per la vita.

Il dg Paolo Favini insieme a Letizia Moratti e mons. Vincenzo Paglia

Letizia Moratti ha lodato “il rispetto dei tempi, nonostante il periodo difficile del Covid. Questo hospice – ha spiegato – si aggiunge ad una rete di 71 hospice in Lombardia per 424 posti, più un hospice pediatrico e 131 unità di cure palliative domiciliari”.

 

“Nell’ambito delle fragilità – ha aggiunto Moratti – l’hospice è un elemento di continuità assistenziale che, con la riforma sanitaria, parte dal domicilio come primo luogo di cura, poi le case e gli ospedali di comunità, con l’obiettivo di garantire l’appropriatezza della cura nei luoghi giusti e in questa filiera non possono mancare le cure palliative”.

L’arch. Giulia Torregrossa

L’Hospice Resegone è la prima struttura di questo tipo collocata in un ospedale, pur con una differenziazione dell’ambiente, curato dall’arch. Giulia Torregrossa:

“Attraverso un’esperienza famigliare ho conosciuto l’importanza del percorso di cure e assistenza ai pazienti a fine vita – ha spiegato l’architetto – Abbiamo lavorato insieme al personale sanitario per realizzare una struttura che fosse la più vicina possibile ai bisogni del paziente e dei loro famigliari. E’ stato come scrivere un bel libro, oggi arrivato alla sua ultima pagina ma ora si apre un nuovo capitolo per operatori e degenti”.

Due le aree in cui è stata suddivisa la struttura, una pubblica e una riservata ai degenti, con zone di confort per i familiari come una tisaneria e uno spazio isolato acusticamente. Le stanze sono dotate di televisione dove sarà possibile far scorrere le foto dei propri familiari attraverso una chiavetta USB e in dotazione c’è anche ‘Alexa’ per ascoltare musica o suoni naturali.

Importante è stato il contributo di 200 mila euro dell’associazione ACTM per l’acquisto degli arredi: “Nel venticinquesimo della nostra attività abbiamo deciso di deliberare un finanziamento per il nuovo hospice, grazie ai soci, agli amici e ai sostenitori dell’associazione” ha detto la presidente Francesca Biorcio Mauri.

“Questo è un momento importante – ha rimarcato il direttore del Difra, Gianlorenzo Scaccabarozzi – completiamo la rete delle cure palliative e abbiamo deciso di farlo qui in ospedale, con un hospice intraospedaliero includente che possa coinvolgere i familiari nelle scelte del trattamento e garantire la vicinanza tra il malato e i propri cari. In sintesi, dare dignità anche in ospedale ai percorsi di fine vita”.

Per mons. Paglia la realizzazione di un hospice in ospedale “è qualcosa di esemplare per l’Italia ma anche per l’Europa”.

Mons. Paglia accanto a Letizia Moratti

“La medicina a volte cade nella tentazione di onnipotenza che la fa tirare indietro quando non c’è nulla da fare, ma la cura le ricorda la sua funzione primaria: quella di non abbandonare mai nessuno – ha aggiunto il sacerdote – La pandemia ci ha fatto scoprire tutti più fragili, nessuno escluso. Ripartire da questa coscienza significa creare una società più umana e più solidale, con un’indispensabile responsabilità reciproca, ovvero il prendersi cura gli uni degli altri”.