“Apro la finestra ed entra odore di erba appena tagliata.
Era chiusa credo da almeno vent’anni, ma oggi sono riuscito ad aprirla, ce l’ho fatta. La luce e l’aria frizzante sono come uno schiaffo sulla guancia, mi stiracchio e cerco di riprendermi dall’intorpidimento in cui mi hanno cacciato. Piano piano riacquisto le forze, non ho più paura, mi sento un leone, devo reagire, devo riuscire a dire la mia, devo farlo. Non è un’impresa semplice, disabituati come a siamo a interrogarci e ad approfondire e abituati come siamo a ingurgitare notizie una dopo l’altra, una specie di bombardamento che non ti lascia fiato, ma devo farlo.
Che sia stato tutto studiato? Confesso che a volte il sospetto mi è venuto. In fondo tenere il popolo in catene è utile, soprattutto a una classe dirigente, politica ma non solo, mediocre, incapace, autoreferenziale, senza slanci e senza prospettive, tranne le proprie. Il popolo imbrigliato non alza la testa, è troppo occupato ad arare, non si fa e non fa troppe domande, sgobba. Fino a quando qualcuno o qualcosa non lo scuote, sgobba. Anche quando qualcuno esagera spudoratamente, spesso tace. E ingoia.
Ma a tutto c’è un limite e il limite, proprio perché fissato molto alto, se superato, non permette un facile ritorno.
Dovremmo pensarci un po’ tutti di più, e di più chi ha più responsabilità.
Mi chiedo cosa altro debba accadere per drizzare la schiena. Per dire basta, basta, non ne posso più, non ce la faccio più, non ce la faccio più da solo, non ce la faccio a prendere sberle su sberle.
Abbiamo imboccato il terzo millennio e avremmo il diritto di attenderci miglioramenti della vita per tutti, una dignità esportata, condivisione fraterna, distribuzione equa delle ricchezze, cibo e acqua di qualità a sufficienza. La globalizzazione, che è anche globalizzazione delle informazioni, sarebbe potuta diventare globalizzazione dei valori e dei diritti, delle conquiste, della serenità e della pace. Invece …
Invece, la globalizzazione c’è sì, ma al contrario. Anziché trasmettere ed esportare valori, quelli faticosamente conquistati – la tutela della dignità umana, il diritto ad essere madri e padri, di conservare posto e salario quando si è ammalati, di godere di un periodo di ferie retribuite in cui poter riconquistare affetti in una dimensione di serenità e di tranquillità, la possibilità di avere del tempo per accudire i figli piccoli o per assistere i genitori anziani, la sicurezza sul lavoro, la tutela ambientale … – ci stiamo tristemente avvitando e ormai abituando a considerare normale che si importino i valori contrari, nel nome del mantenimento di una effimera quanto improbabilmente duratura certezza del proprio status e della propria occupazione.
Sei già fortunato ad avere il lavoro, cosa ti preoccupi d’altro? Non chiederti e non chiedere, abbassa il crapone e lavora. E soprattutto taci. L’aria nel tuo reparto è irrespirabile? Il caldo è soffocante? La macchina su cui lavori è priva di protezioni per consentire di fare più produzione? Taci, taci che almeno un lavoro ce l’hai.
Lavorare dieci ore al giorno pagate otto? Sai, bisogna abbassare i costi … Sabato mattina ci sei vero, naturalmente non in straordinario – non è quasi il caso di dirlo -? No? Beh, ricordati che tra due settimane scade il tuo contratto … Riferiscimi tutto quello che quei sobillatori dei tuoi colleghi tramano alle mie spalle, magari mentre state bevendo il caffè per cui state via ore intere … No? Trarrò le mie conseguenze … stanne certo.
E non parlarmi di diritti sindacali, quella è roba d’altri tempi, quando ci si poteva permettere di perdere tempo su tempo per queste fregnacce, tanto il grasso colava da sé. La democrazia nei luoghi di lavoro? La rappresentanza? La sicurezza? Ma scherzi, vorrà dire che se non andrò io in Cina, assumerò solo cinesi d’ora in poi, mica hanno strani grilli per la testa loro. Lavorano, lavorano, lavorano. E non fanno domande. E non si lamentano. Loro sì sanno cosa significa sacrificio e dedizione.
Ma che bel mondo lasciamo ai nostri ragazzi, proprio bello. E civile. Siamo stati – e siamo – proprio una gran bella classe dirigente, appassionata, leale, onesta, che ha a cuore le sorti del proprio paese e non quelle del proprio orto. Che classe! E non solo quella politica, che c’è dentro fino al collo, ma anche quella imprenditoriale, sindacale … Una classe dirigente irreprensibile, onesta, appassionata e disinteressata, competente e capace di guardare oltre e soprattutto di condividere le pene delle persone comuni e per di più per nulla autoreferenziale. Che fortuna ho avuto!
Dalla finestra ormai aperta, un rumore sempre più forte, urla, grida. Che finalmente stiano venendo a prenderci?”
Salvatore Rossi
Cgil Lecco