MANDELLO – Un incontro di quelli che lasciano il segno. E su cui riflettere. Un incontro per capire, o per tentare di farlo, come si possa perdonare chi ha annientato la tua famiglia, chi ti ha strappato gli affetti più cari, le persone con le quali condividevi le gioie, le ansie e le preoccupazioni della vita di ogni giorno. Un incontro con Carlo Castagna, che nella strage di Erba del 2006 ha perso la moglie Paola, la figlia Raffaella e il nipotino Youssef, uccisi dai coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano.
Perdonare, già. E’ difficile, certo, ma evidentemente non impossibile. Castagna ha perdonato, nonostante tutto e nonostante quella sera di dicembre di sette anni fa anche la sua vita avrebbe potuto finire. Non sotto i colpi di quei due coniugi indemoniati, ma per il dolore e la disperazione per quanto accaduto.
Ieri sera a Mandello, nella palestra dell’istituto scolastico Santa Giovanna Antida ospite del secondo incontro del ciclo “Genitori in… formazione”, Carlo Castagna ha stupito. E emozionato. “La mia storia la conoscete”, ha premesso. Poi via a parlare della sua famiglia, di sua moglie Paola “cresciuta all’ombra del campanile” e uscita di casa quella sera per andare a prendere sua figlia Raffaella e mai più tornata. Ma a parlare soprattutto del “Padre buono”. Quante volte, Castagna, l’ha ripetuto nel corso della serata. “E’ il Padre buono che mi ha dato la forza di perdonare”. “E’ il Padre buono che ha aiutato me e mamma Lidia (la madre di sua moglie Paola, ndr) a sdraiarci sulla croce”. “E’ il Padre buono che mi ha aiutato a tornare a credere nel prossimo”…
Un racconto lucido e in taluni momenti da far gelare il sangue a chi lo ascoltava, quello di Carlo Castagna. Come quando ha ricordato come seppe della tragedia: “Era sotto la casa di Raffaella e un carabiniere mi disse, senza giri di parole: Là dentro ci sono quattro persone sgozzate… Poi in cortile i miei occhi hanno incrociato quelli di Olindo e ho avuto l’impressione che volesse quasi sostenermi, essermi vicino. Ma subito mi sono reso conto che qualcosa, o qualcuno, mi stava aiutando e che dovevo accettare la situazione”.
Ha parlato spesso anche della Casa del Padre, Castagna, dove ora “vive” sua moglie. E dove “vivono” sua figlia e suo nipote. “Fin dai minuti successivi alla tragedia – ha detto – quando non sapevo nulla di ciò che era successo perché non ero ancora arrivato in quella corte, ho avvertito la presenza di Paola che mi stava sostenendo. Sì, lei mi ha fatto trovare la pace interiore. Il mattino dopo, poi, mamma Lidia mi ha detto: Se non trovassimo la forza di perdonare i colpevoli di questa strage non potremmo più recitare il Padre nostro… Ecco, io non ho mai provato né odio né rancore e chiamo ancora gli assassini fratelli in Cristo”.
Ma come si può perdonare chi ti uccide la moglie, la figlia e un nipote? “Si deve perdonare – ha ripetuto Castagna – perché come dice la parola stessa il perdono è un dono. Ora con i miei cari io vivo la comunione dei santi, vivo come se loro fossero accanto a me e non fossero mai partiti. Paola c’è, nella mia mente e nel mio cuore. E riesco ad affrontare serenamente il mio cammino perché la sofferenza, se vissuta cristianamente, con il tempo diventa gioia. I miei due figli fanno fatica a seguirmi su questa strada, ma neppure loro hanno rancore o desiderio di vendetta. Ecco un’altra prova dell’aiuto di Paola”.
Carlo Castagna non ha più incontrato, dopo il loro arresto, i coniugi Romano. “Sarei disposto a farlo – ha detto – e anzi prego perché il Padre buono mi conceda la grazia di abbracciarli e di piangere con loro, ma senza mai ricordare quella sera di dicembre del 2006. Forse quell’incontro un giorno avverrà, ma soltanto se a chiedermelo dovesse essere un sacerdote, magari il cappellano del carcere, non certo i tre avvocati di Rosa e di Olindo”. Rosa e Olindo, quella donna e quell’uomo che in due occasioni avevano preso a schiaffi e trascinato a terra la figlia di Carlo Castagna e dei quali tuttavia Raffaella diceva: “Vanno capiti, vanno aiutati…”. Era cominciato lì il difficile cammino verso il perdono.