Mario Marai nei ricordi: il cordoglio del sindaco e quella pagina d’alpinismo di cui fu testimone involontario

Tempo di lettura: 4 minuti

Il ricordo di Gattinoni nei 4 anni di collaborazione con il Giornale di Lecco

Eiger 1957, Mario Marai e il fratello Angelo e l’incontro con Claudio Corti

LECCO – “Lecco piange la scomparsa di Mario Marai, storico fotografo capace d’immortalare la vita della nostra comunitร : dalle manifestazioni sportive agli eventi, dalla montagna alla politica, passando per le imprese della Calcio Lecco. Mario era un grande professionista, una persona educata e spiritosa, un uomo perbene”.

Il sindaco di Lecco Mauro Gattinoni

Sono parole cariche di emozione quelle del sindaco di Lecco Mauro Gattinoni che ha voluto condividere un ricordo molto personale: “Conservo un ricordo particolarmente affettuoso per Mario, un ricordo che si accompagna ai 4 anni in cui ho avuto il piacere di lavorare con lui nella redazione del Giornale di Lecco apprezzandone la lealtร , la puntualitร  e anche il perenne senso critico che usava accompagnare con un’innata ironia. Con Mario se ne va quel volto simpatico e ‘popolare’ del Giornale di Lecco, quell’uomo capace di mettere in fila tutti quanti per una bella foto: che siano i politici della cittร , o i chierichetti della Basilica, la squadra del Lecco o la mangiata dei coscritti. Quando c’era Marai c’era la notizia. Ha raccontato decenni di fatti e di cronaca della nostra cittร , dai grandi eventi alle piccole storie quotidiane, sempre presente sul campo, infaticabile, fino all’ultimo ‘click’. A nome dell’Amministrazione comunale e di tutta la comunitร  lecchese, esprimo il mio sincero cordoglio per la scomparsa di Mario Marai e la mia vicinanza alla sua famiglia, in particolare ai figli Anna e Marco e agli amati nipoti e bisnipoti”.

Eiger 1957. Mario Marai testimone “involontario” di una pagina di storia dell’alpinismo

“Nel 1957 aveva 25, e dopo una vita di lavoro e di escursioni sui sentieri รจ un fotografo ancora innamorato della montagna e del suo mestiere, che l’ha portato a dividersi tra il bancone e il laboratorio del negozio e le redazioni dei giornali locali, in veste di fotografo”. E’ con queste parole che lo scrittore e giornalista Giorgio Spreafico descrive il fotografo Mario Marai, scomparso nella giornata di oggi, nel suo libro “Il prigioniero dell’Eiger” edito nel 2008.

La vita di Mario Marai รจ legata a filo doppio con la storia di Lecco e fu proprio lui, a distanza di 50 anni, a raccontare alcuni fatti chiave nella vicenda dell’Eiger che vide coinvolti gli alpinisti lecchesi Claudio Corti e Stefano Longhi, quest’ultimo morto sulla montagna Svizzera. Roba da appassionati di montagna, ma รจ bello ricordare quell’episodio che, involontariamente, lo vide testimone di una pagina di storia dell’alpinismo.

Mario Marai, infatti, era a Grindelwad, sotto la parete Nord, quando accaddero i fatti dell’Eiger 1957. Aveva accompagnato il fratello maggiore Angelo, amico del Bigio (Carlo Mauri), che aveva risposto alla richiesta di supporto di Mauri e Cassin che in quei giorni avrebbero tentato la prima italiana. I fratelli Marai erano partiti con la loro Fiat Seicento per aiutare i due famosi alpinisti lecchesi prima e dopo la scalata.

Una volta arrivati a Grindelwald, luogo dell’incontro, si sono ritrovati nel pieno di un’emergenza di cui non avevano ancora saputo nulla. Mario e il fratello Angelo apprendono di due italiani bloccati in parete, subito pensano a Mauri e Cassin, ma poi scoprono che erano Longhi e Corti. “Il ‘Bigio’ e il Riccardo non siamo neanche riusciti a incrociarli, in quelle ore, nonostante fossimo saliti alla Kleine Scheidegg – racconta Mario Marai nel libro di Giorgio Spreafico -. Dovevano scalare la Nord e invece si sono ritrovati a partecipare al soccorso di altri due lecchesi sulla stessa parete, una cosa che ha dell’incredibile”.

Dopo il salvataggio i due fratelli Marai andarono a trovare Claudio Corti all’ospedale di Interlaken: “Ci disse che l’avrebbero dimesso l’indomani – racconta ancora nel libro -. Ci siamo dati appuntamento, ricordo che gli abbiamo anche scattato una foto”. E poi il viaggio verso Olginate: “Per rompere un po’ la monotonia della strada, a un certo punto ci siamo messi a cantare. Canzoni di montagna. Ci รจ venuto cosรฌ, spontaneo. Poi perรฒ uno di noi, non so piรน se Angelo o Corti, รจ sbottato, come se si fosse reso conto all’improvviso della situazione: ‘Lo Stefano รจ rimasto su’ ha detto. ‘Basta. Non si puรฒ cantare quando qualcuno non torna a casa…” Aveva ragione, naturalmente: ripiombati nel silenzio, ci siamo sentiti quasi in colpa”.