LECCO / MANDELLO – “La ritengo l’indagine più difficile della mia vita, avevo di fronte persone della mia età, vederle disperate davanti a me, addirittura piangere nel raccontarmi le loro vicende. Sulla mia scrivania tenevo un pacchetto di fazzoletti, perché ogni volta mi chiedevano di potersi asciugare le lacrime. Questo nonostante, per alcuni di loro, fossero passati anni dai fatti vissuti”.
Antonio Verbicaro, ispettore capo della Questura di Lecco, racconta in Tribunale l’inizio dell’inchiesta sfociata poi tra le cronache anche dei giornali nazionali, quella dei presunti maltrattamenti e vessazioni subite dai lavoratori dell’azienda Gilardoni Raggi X di Mandello.
Mercoledì, il processo è entrato nel vivo con le testimonianza degli inquirenti che insieme alla Procura, nella figura del sostituto procuratore Silvia Zannini, hanno condotto le indagini.
I legali delle difese avevano chiesto di rimandare l’udienza per poter approfondire lo studio della prima parte delle intercettazioni, quelle realizzate proprio dalle forze di polizia, rese disponibili alle parti lo scorso 28 novembre. Una richiesta rigettata dal giudice Martina Beggio che lo scorso ottobre aveva già dovuto modificare la calendarizzazione del processo per i ritardi nelle trascrizioni delle intercettazioni. Presenti in aula una decina tra lavoratori ed ex lavoratori, accompagnati da Rsu e sindacati.
Verbicaro, all’epoca dei fatti (gennaio 2016) coordinatore della Squadra Mobile, per acquisire le informazioni sommarie ha convocato in Questura ben 52 persone, “partendo da chi non era più in azienda per evitare di compromettere le indagini – le prime denunce risalivano al 2013 – poi abbiamo sentito altri lavoratori, ancora in forze all’azienda, per capire se quei fatti raccontati da chi non era più dipendente, continuassero a ripetersi”.
Un confronto incrociato (“i lavoratori raccontavano quanto subito da loro e anche da altri dipendenti” racconta Verbicaro) che è stato supportato dall’aprile del 2016 dalle intercettazioni telefoniche ai recapiti dei principali indagati (l’ex presidente Maria Cristina Gilardoni, il direttore del personale Roberto Redaelli e Andrea Ascani Orsini detentore del 45% delle quote azionarie e direttore dell’area produzione sviluppo e qualità) e ambientali in quell’open space al secondo piano del fabbricato di via Gilardoni, sede dell’area amministrativa.
E’ qui, in quel locale con vetrate a fare da separé tra zona degli impiegati e della dirigenza, dove “le finestre erano sigillate e anche l’anticamera del bagno, la zona dei lavandini, era a vista” come raccontato dal referente della Questura, che si sono concentrate le indagini e, attraverso riprese audio e video, si sarebbero cercati riscontri ai racconti di dipendenti ed ex dipendenti.
Parallelamente a questa attività della Squadra Mobile, la Direzione Territoriale del Lavoro e l’ATS avrebbero svolto i propri approfondimenti relativamente alla situazione dei lavoratori e alle possibili conseguenze fisiche e mentali subite in seguito ai comportamenti subiti.
“Tutti lamentavano anomalie nella gestione del personale, azioni vessatorie a volte anche violente nei loro confronti. Abbiamo voluto verificare i loro racconti e accertare se vi fosse stata la commissione di reati” ha spiegato Marco Cadeddu, ai tempi dell’indagine dirigente della Squadra Mobile ed oggi vicequestore a Bergamo.
Nell’aprile del 2016, gli agenti avevano fatto visita all’azienda mandellese, insieme al personale dell’ATS e della Direzione Territoriale del Lavoro, sequestrando diversi faldoni relativi ai lavoratori ed effettuando una copia dei dati del server aziendale.
Una doppia preoccupazione quella che si poneva di fronte a chi stava indagando, per la particolarità della produzione di cui la Gilardoni è responsabile: i macchinari per i controlli a raggi X “made in Mandello” sono installati in numerosi aeroporti e all’ingresso dei principali palazzi istituzionali.
“Come ufficiale di pubblica sicurezza, la questione Gilardoni ha dato sbocco ad una problematica più ampia” ha spiegato Cadeddu facendo riferimento alla fuori uscita di numerosi dipendenti ( passati da 215 all’inizio del 2015 ai 174 dipendenti nel terzo trimestre dello stesso anno) e un “parallelo indebolimento societario” e della “capacità imprenditoriale”.
La vicenda, ha sottolineato il dirigente di Polizia “destava preoccupazione per gli effetti che poteva avere sul piano nazionale della sicurezza” col rischio che “venissero meno manutenzioni e l’esistenza della stessa azienda”.