LECCO – Intervenire presso il governo giapponese” perché ponga fine al massacro di circa 22 mila piccoli cetacei (tursiopi, stenelle, grampi, globicefali, pseudorche e focene) che da settembre a marzo ha luogo nel sud del Paese e “adoperarsi nelle sedi opportune” perché la comunità internazionale, e in particolar modo l’Unione europea, compia “un intervento del medesimo tenore” presso Tokyo.
Lo chiede al governo una mozione dell’ex ministro Michela Vittoria Brambilla, in rappresentanza della Federazione Italiana Associazioni Diritti Animali e Ambiente e in particolare a sostegno dell’Enpa, che coordina la campagna internazionale contro la mattanza dei delfini nel sud dell’arcipelago (“Japan Dolphin Day 2013”) e proprio questa mattina, ha organizzato una protesta davanti all’ambasciata del Giappone.
La mattanza è un uso tradizionale dei villaggi di Taji e Futo, della penisola di Izu e dell’isola di Iki, e avviene, spiega il testo, attraverso la pratica detta “drive fisheries” ovvero “pesca guidata”: “I pescatori si dirigono in mare aperto e una volta localizzato il branco, iniziano a colpire con dei martelli i pali di acciaio posti ai lati delle loro imbarcazioni. In questo modo creano un muro di suoni che disorienta i delfini, i quali, cercando di sfuggire, vengono invece facilmente condotti all’interno di baie e fiordi.
A questo punto i pescatori intrappolano il branco ponendo una rete all’imboccatura del fiordo. I piccoli vengono separati dalle madri e imbracati su barelle per essere portati a terra, destinati ad essere venduti ai delfinari e addestrati con metodi coercitivi, come la deprivazione alimentare, a “divertire” il pubblico”. In generale, “la cattività dei cetacei è una pratica deprecabile e altamente immorale. Costringe creature come i tursiopi a vivere in vasche anguste e a condividere i piccoli spazi con conspecifici imposti dall’uomo, quando è ben nota l’importanza delle relazioni sociali che si instaurano nel branco di appartenenza e la capacità di questi animali di percorrere lunghe distanze in mare ogni giorno”.
L’altra ragione addotta per questa pesca cruenta è “il consumo di carne di delfino, benché approfondite ricerche dell'”Environmental Investigation Agency” abbiano dimostrato che contiene mercurio e altre pericolose sostanze quali DDT e metalli pesanti, fino a 900 volte al di sopra del limite massimo indicato dalle organizzazioni internazionali”.
Ciò che accade nella “baia della morte” di Taji è stato ampiamente documentato dal film “The cove”, premio Oscar 2010, trasmesso anche dalla televisione italiana. “Pertanto – sottolinea la mozione – nessuno ormai può dire di non sapere”. E ognuno dovrebbe assumersi le proprie responsabilità.