MILANO – Un anno otto mesi e 700 euro di multa, più il risarcimento delle spese legali sostenute dalle parti civili: questa la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano nei confronti di Carlo Riva, gioiellere lecchese già condannato per il reato di truffa aggravata nei confronti di quattro persone.
La sentenza di fatto ridimensiona la condanna di primo grado emessa dal Giudice Nora Lisa Passoni il 30 maggio 2017, pari a due anni, sei mesi e mille euro di multa. Dopo il processo di primo grado l’avvocato difensore di Riva, Ruggero Panzeri, aveva fatto ricorso in appello.
Lo scorso 20 settembre la Corte si è espressa rideterminando la condanna di Riva, ridotta a un anno e 8 mesi di reclusione e al pagamento di 700 euro di multa.
Il caso del gioielliere truffatore era salito alla ribalta delle cronache nazionali anche grazie al servizio delle Iene: l’uomo aveva truffato quattro persone, due delle quali amici, alle quali avrebbe chiesto ingenti somme di denaro in prestito e investimenti in beni preziosi con la promessa di alti interessi, debiti mai saldati. Le testimonianze delle persone offese, costituitesi parte civile al processo, erano sfilate davanti al giudice Passoni durante il dibattimento.
Per i giudici della Corte d’Appello, come si legge nel dispositivo di sentenza, l’appello richiesto dall’imputato e dal suo difensore è infondato. Poco importa infatti che Carlo Riva fosse effettivamente un gioielliere noto a Lecco e fuori, o che fosse legato alle sue vittime da rapporti di amicizia. Ciò che conta è che “l’imputato, nei periodi in contestazione, ha certamente realizzato condotte ai danni delle parti civili”, inducendole a versargli in maniera, anche fraudolenta, somme di denaro per importi ingenti rassicurando poi che gli assegni consegnati non fossero posti all’incasso ma utilizzati come garanzia.
Insomma la condotta dell’imputato per la Corte d’Appello “esula dal mero inadempimento contrattuale, connotandosi in termini di certa rilevanza penale sotto il profilo del reato di truffa”.
L’imputato per la Corte non è stato neanche meritevole del riconoscimento delle attenuanti generiche richieste dalla difesa, vista la “protrazione nel tempo delle condotte fraudolente, l’ingente ammontare del danno patrimoniale cagionato, l’assenza di concrete iniziative anche solo parzialmente risarcitorie e i precedenti specifici a carico del Riva per analoghi reati di truffa e appropriazione indebita”.