LECCO – In occasione della Giornata mondiale contro l’Aids prevista per domani, sabato 1 dicembre, dedichiamo l’undicesima puntata della rubrica Day-Hospital al reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale Manzoni di Lecco. Su un totale di circa 3.600 visite annue effettuate all’interno dell’ambulatorio del reparto, ben l’80 % di queste risultano essere, infatti, rivolte a persone affette dal virus HIV. Una malattia, questa, di cui in passato si è parlato davvero molto e a cui oggi, forse anche a causa (o per merito) dei sempre più efficaci farmaci in commercio, si tende a dare un po’ meno visibilità. A parlarci nel dettaglio della situazione e a spiegarci il lavoro svolto quotidianamente all’interno del suo reparto è il primario di Malattie Infettive.
Sposato e con due figlie, il dottor Paolo Bonfanti si è laureato presso l’Università di Pavia e si è specializzato in Malattie Infettive e in Chemioterapia all’Università di Milano. Dopo aver lavorato all’interno del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Luigi Sacco di Milano, dove ha svolto anche attività di ricerca, due anni fa è diventato direttore della Struttura Complessa di Malattie Infettive dell’Ospedale di Lecco.
Dottor Bonfanti, com’è strutturato il suo reparto?
“La nostra attività è fondamentalmente divisa in due parti principali: da un lato abbiamo il reparto di degenza e dall’altro l’ambulatorio, dove svolgiamo il maggior numero di prestazioni. Per quanto riguarda la degenza, si tratta di un totale di 13 stanze singole, dove è possibile ricoverare i casi più difficili e che necessitano di cure costanti e di isolamento. In genere questa parte del reparto conta un totale di 30 ricoveri al mese e di circa 340/350 all’anno e per il 20 % dei casi si tratta di persone che hanno contratto il virus HIV. Per il resto le principali malattie che colpiscono i degenti sono la tubercolosi, la meningite, alcune malattie tropicali come la malaria, complicanze infettive su pazienti anziani (anche se talvolta vengono ricoverati in Medicina) e malati che hanno sviluppato infezioni ospedaliere in seguito a interventi chirurgici. Per quanto riguarda quest’ultimo punto – precisa – il reparto collabora con il Comitato per il controllo delle infezioni ospedaliere e questo significa che lavoriamo per prevenire, limitare e infine curare quelle infezioni che si prendono all’interno della stessa struttura ospedaliera”.
Questo, quindi, per quanto riguarda la degenza. Mentre quali sono i numeri relativi all’ambulatorio?
“Annualmente effettuiamo circa 3.600 visite ambulatoriali e devo dire che nella maggior parte dei casi si tratta di persone affette da virus HIV. Chiaramente questa cifra non deve essere letta come numero di pazienti in quanto molti si presentano più volte nell’arco dei dodici mesi. È da notare, poi, come la quantità di prestazioni sia in aumento: nuove cure permettono, infatti, a coloro che hanno contratto il virus di vivere più a lungo e questo giustifica in parte il dato crescente”.
Approfondiamo un po’ questo tema: chi contrae maggiormente la malattia e quali sono le aspettative di vita oggi?
“Non è così semplice definire chi è più a rischio. Se negli anni Novanta si trattava in larga misura di soggetti tossicodipendenti e di persone omosessuali, considerate entrambe categorie a rischio, oggi le cose sono molto diverse. La principale via di trasmissione della malattia è oggi costituita dai rapporti sessuali: le persone più a rischio sono, quindi, quelle che vivono una situazione di promiscuità sessuale o che hanno rapporti occasionali con partner sconosciuti. In questo senso sono frequenti i casi di contagio tra i giovani, ai quali dovremmo rivolgere maggiore attenzione, anche attraverso incontri e attività di sensibilizzazione sul tema. Non mancano, poi, i casi di persone di età più avanzata, che magari hanno contratto il virus dal coniuge, a sua volta contagiato durante relazioni extraconiugali e assolutamente ignaro della sua condizione. Può sembrare strano, ma in realtà simili episodi sono abbastanza frequenti.
Per quanto riguarda i dati su età media, nazionalità e speranza di vita dei pazienti posso dire che mediamente ci aggiriamo intorno ai 45 anni (circa il 50 % sono under 40), che il 15 % dei malati proviene dal continente africano e che oggi si può sopravvivere anche 30, 40 anni grazie ai farmaci. È fondamentale, però, riuscire a riconoscere la malattia il prima possibile: la mancanza di sintomi chiari non rende, infatti, semplice scoprire di essere sieropositivi, tanto che il 70 % circa dei pazienti capisce di aver contratto il virus in una fase già avanzata della malattia, potendo quindi potenzialmente contagiare altre persone”.
Quali attività svolgete in supporto ai pazienti sieropositivi all’Hiv?
“Cerchiamo di seguire tutto il loro percorso: dal prelievo del sangue, che effettuiamo nel nostro centro prelievi dedicato, alla visite e alle cure. Oltre a questo ci prendiamo carico di tutte le complicanze che possono derivare dalla somministrazione dei farmaci, tra cui altre malattie come osteoporosi, diabete, disturbi cardiovascolari. Infine siamo attrezzati per svolgere attività di counseling, ossia per informare i pazienti sulla malattia, sui problemi a cui possono andare incontro e, se necessario, consigliamo loro un incontro con uno psicologo in grado di sostenerli durante il percorso”.
Ma non c’è solo l’HIV. Quali sono, quindi, le altre malattie infettive più frequenti?
“Una fetta consistente del nostro lavoro è dedicata alle epatiti croniche, ossia quelle causate dai virus B e C dell’epatite, anche se per queste malattie collaboriamo con l’ambulatorio di Epatologia del reparto di Medicina. Ogni anno seguiamo circa 100, 120 pazienti ed è da sottolineare che il numero non dovrebbe crescere sensibilmente in quanto, a differenza dell’HIV, dall’epatite C si può guarire. In questo senso voglio annunciare che nei prossimi anni verranno somministrati nuovi farmaci, meno tossici rispetto a quelli in uso oggi e in grado di guarire definitivamente un buon numero di pazienti.
Un giorno alla settimana abbiamo attivo, poi, un ambulatorio dedicato alla tubercolosi, molto diffusa negli anni Sessanta e ancora presente in modo significativo sul nostro territorio”.
Si tratta, quindi, di una malattia riemergente?
“Riemergente forse no, ma di sicuro non debellata, soprattutto a causa di due fenomeni. Da un lato i flussi migratori da luoghi ad alto tasso di presenza di tubercolosi (soprattutto l’est Europa e l’Africa) hanno facilitato l’aumento dei casi. Ma a questo si aggiunge anche un altro aspetto: sono numerosi, infatti, i casi di persone che in passato, da giovani, hanno contratto la tubercolosi e che oggi, anziane e con le difese immunitarie deboli, vedono la malattia riattivarsi”.
Torniamo, infine, alla giornata contro l’AIDS: per l’occasione avete in programma delle iniziative?
“Sì, prenderemo parte al programma Alza la voce sulla prevenzione: nella mattina di domani, a partire dalle 9.30 presso il Centro Civico di Germanedo, incontreremo gli studenti delle scuole superiori di Lecco. I numerosi casi di contagio tra i più giovani ci mettono di fronte alla necessità di tornare a parlare con loro della malattia: la possibilità di sopravvivere per più anni rispetto al passato non rende, infatti, l’Aids meno grave di quanto non lo fosse quindici anni fa. Per questo – conclude – il nostro personale e quello dell’Asl saranno a disposizione per spiegare cos’è l’epidemia da HIV e quali comportamenti bisogna attuare per evitare il contagio”.