LECCO – Ha preso servizio a Lecco nell’agosto del 2013 assumendo la guida del Comando Provinciale dei Carabinieri di Lecco: ad un anno di distanza, abbiamo incontrato il tenente colonnello Rocco Italiano per fare un bilancio dei suoi primi 12 mesi di lavoro sul territorio lecchese.
Classe 1970, originario della provincia di Messina, sposato e padre di due figli, il colonnello Italiano è giunto a Lecco dopo una lunga esperienza nella direzione di diversi reparti operativi e compagnie di carabinieri del Sud d’Italia.
Un’annata non facile quella che ha dovuto affrontare, segnata da due terribili fatti di cronaca con l’assassinio del piccolo Niccolò, il bimbo di 3 anni di Abbadia ucciso dalla madre Aicha Coulibaly, e solo qualche mese dopo la strage di Chiuso, di nuovo un infanticidio con tre giovanissime vittime. Ci sono stati però anche momenti di soddisfazione per i risultati ottenuti dai propri uomini e di grande festa per il bicentenario dell’Arma, recentemente festeggiato insieme ai militari di Lecco alla caserma del comando provinciale.
L’INTERVISTA:

Colonnello, è passato un anno dal suo arrivo a Lecco. Come si è sentito accolto in città?
“Ottimamente, quest’anno è trascorso molto rapidamente quindi vuol dire che siamo stati bene dal punto di vista personale e professionale. L’orgoglio e l’opportunità di assumere questo incarico sono stati ripagati da un anno estremamente interessante. Ho fatto esperienze importanti in altre regioni, mi mancava il Nord d’Italia ed è stata una scelta felice. Anche la mia famiglia si è subito trovata bene”.
In una delle sue prime dichiarazioni descriveva Lecco e la sua provincia come una realtà tranquilla rispetto ad altri territori. In questi mesi ha avuto modo di conoscere meglio la situazione lecchese dal punto di vista della criminalità e dei reati. Che impressione si è fatto?
“Non sono emersi fenomeni criminali particolarmente complessi. L’Arma e le altre forze dell’ordine sono molto impegnate sulla lotta ai reati predatori che sono anche quelli che creano più allarme sociale, parliamo di furti e rapine. Ciò che mi soddisfa è che molti di questi reati sono diminuiti sia nel capoluogo che in provincia, a fronte di un aumento dell’attività di contrasto. Un dato che mi gratifica anche perché in provincia come presidi fissi di polizia ci sono solo quelli dell’Arma dei Carabinieri”.
Viviamo anni difficili a causa della crisi economica che sta colpendo anche l’area lecchese. Disoccupazione, precarietà e disagio sociale sono tristi novità per il territorio lecchese. Crede che questi fattori stiano producendo effetti sul fronte dell’illegalità?
“La crisi la si percepisce nella manifestazione di alcuni reati perché, se nel complesso i furti sono diminuiti, sono aumentati i furti negli esercizi commerciali. Sono incrementati i furti di generi alimentari, di capi d’abbigliamento che potrebbero essere imputati alla crisi economica che sta interessando, seppur in misura minore rispetto ad altri territori, anche la provincia di Lecco”.

Reggio Calabria, Pozzuoli e Foggia sono altre realtà che lei ha conosciuto. Lì la lotta alla mafia è una delle attività più importanti che vedono impegnate le forze dell’ordine. A Lecco si è ricominciato a parlare di mafia a 20 anni dall’operazione Wall Street con nuovi arresti . Pensa che si sia abbassata la guardia rispetto a questo fenomeno?
“E’ esattamente il contrario. Il fatto che ci sia stata questa attività, di cui non entro nel merito in quanto operata da un’altra forza di polizia, è la dimostrazione dell’attenzione delle forze dell’ordine, degli organi investigativi interprovinciali e nazionali che avrebbero individuato materialmente questa locale di ‘ndrangheta su Lecco. C’è quindi l’attenzione della magistratura, nella fattispecie della Direzione Distrettuale Antimafia, e degli organi investigativi.
A suo parere la società lecchese è preparata ad affrontare questo problema?
“Credo che Lecco abbia gli anticorpi per reagire a questi fenomeni che possono succedere ma, nel momento in cui la società reagisce positivamente, le associazioni criminali hanno più difficoltà ad inserirsi in quel tessuto.
Lei ha diretto per alcuni anni la sezione di “Catturandi” del Nucleo Investigativo del Reparto Operativo di Reggio Calabria che si occupa della ricerca dei latitanti. Dalla sua esperienza, come crede si debba combattere la mafia?
“Con il controllo del territorio, infondendo sicurezza e togliendo spazio alla criminalità organizzata. Non credo esista una vera ricetta: che si sia in Sicilia, in Campania o in Lombardia, il metodo è lo stesso e le forze dell’ordine sanno quello che devono fare e come devono farlo. Non può essere però una lotta delle sole forze dell’ordine ma anche della società civile. Serve impegno da parte delle istituzioni e dei cittadini e delle associazioni di volontariato”.

Nell’ultimo anno ci sono stati anche fatti sconvolgenti, due infanticidi, prima Abbadia e poi Lecco, con la morte di 4 bambini e l’omicida, in entrambi casi, non era un malvivente ma le rispettive madri. Cosa vuol dire per un uomo di legge dover affrontare casi come questi?
“Nonostante la mia esperienza in diversi reparti, fenomeni di questo genere non me ne erano mai capitati. In passato ho avuto scontrarmi, a mio malgrado, con una serie di omicidi legati alla criminalità organizzata ma mai con fatti di questo tipo e non nascondo di aver vissuto una certa difficoltà iniziale; l’impatto è stato difficile proprio perché erano coinvolti dei bambini. Poi però interviene il professionista, perché è vero che siamo padri di famiglia, ma siamo anche ufficiali dell’Arma e necessariamente deve crearsi un certo distacco emotivo per poter fare al meglio il nostro lavoro”.
E’ giunto a Lecco nell’anno del bicentenario dell’Arma dei Carabineri, che emozione si prova ad indossare una divisa che vanta 200 anni di storia?
“Un’orgoglio e una responsabilità immensa perché dobbiamo rispettare chi ha portato questa divisa nei 200 anni che ci hanno preceduto. Portarne rispetto significa non infangarne il nome e vivere gli ideali dell’Arma che dalla sua costituzione sono sempre gli stessi. Servizio, fedeltà e impegno non sono cambiati, si sono modificati i modi, le tecnologie che ci permettono di migliorare il nostro lavoro. I principi fondanti, però, sono sempre gli stessi dal 1814 ad oggi”.


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