BELLANO – Mezz’ora di ritardo per un contrattempo, mentre il cine teatro di Bellano strabordava con gente stipata ovunque, molta rimasta fuori con i Carabinieri a presidiare l’ingresso per il troppo pieno.
Poi eccolo: don Andrea Gallo fa ingresso con il suo toscano nella mano destra, sventolando il Tricolore in quella sinistra. Sul suo volto prima un grande sorriso poi, la meraviglia nel vedere così tanta gente. Tra gli applausi di benvenuto si dirige sul palco dove toglie berretto e cappotto gettandoli a terra, intanto il sindaco Roberto Santalucia fa gli onori di casa. Quindi la scena è tutta per don Gallo, 84 anni suonati ma un’energia da vendere. Oltre due ore di chiacchierata no stop, in piedi, macinando chilometri sul palco… perchè lui, “pretaccio” da marciapiede fermo non sa stare. Un fenomeno già solo per questo. Poi comincia il suo monologo e lo fa partendo dalla democrazia: “che sta scomparendo”.
“Ho visto nascere la democrazia – spiega il don, marinaio e partigiano come più volte ricorderà – e ora mi tocca vederla morire. Poi prende una lettera: “Me l’ha scritta un amico, anche lui partigiano, nel 2003 e descrive l’Italia. Si chiamava Giorgio Bocca. L’ha scritta un mese prima di morire. Si intitola: ‘Il fascismo perenne in libera uscita‘ – e comincia a leggere – Ogni tanto gli uomini si prendono le vacanze dalla legge, dalle discipline civili e dall’educazione. Infamia, ricatti, diffamazione… l’assenza della morale fa emergere il proprio egoismo. I ladri si vantano di esserlo, i servitori infedeli dello stato mostrano con orgoglio le prove dei loro tradimenti, gli onesti quasi si vergognano di esserlo…’ – poi si ferma e chiede ai presenti – Da allora è cambiato qualcosa?”. Ride di un sorriso amaro e poi ammonisce: “State attenti! Non c’è un fascismo storico, il fascismo è arroganza, è sentirsi al di sopra: la razza superiore, la virilità, lo schifo per tutti gli altri, per tutti i diversi. Questo è il fascismo che ha rovinato le coscienze in questi ultimi 20 anni l’Italia e, oggi, ne portiamo ancora le conseguenze vivendo in Paese ingovernabile, perchè siamo stati tutti inadempienti, siamo rimasti tutti ‘imberlusconiti’ ”.
Ma per don Gallo c’è una via d’uscita. E riprendendo le parole di Antonio Gramsci prosegue: “Agitatevi, perchè abbiamo bisogno del vostro entusiamo; organizzatevi, perchè abbiamo bisogno della vostra forza; studiate le cause dell’ingiustizia…”, invitando il popolo ad “alzare la testa”. “Restiamo uniti, perchè solo così si può vincere il potere e uscire dalla crisi”.
Poi rispolvera il motto della sua brigata partigiana: “Osare la speranza…” senza dimenticare “come ci ha insegnato il compianto Vittorio Arrigoni, di ‘restare umani’, perchè siamo tutti fratelli”.
E da qui, ecco la difesa dei diversi e degli omosessuali muovendo una pesante critica alla Chiesa: “Ancora sessuofobica e misogena – spiega il prete genovese – L’omosessualità, l’ha dimostrato la scienza, è una variante della natura, non è contro natura, non è un capriccio. E se dite di essere credenti attenzione, perchè il non capire questo equivale ad andare contro il piano di Dio”.
Don Gallo poi sottolinea l’importanza della “La libertà religiosa e il primato della coscienza personale che la Chiesa, dal 1965, ha riconosciuto essere dottrina certa. La coscienza di ognuno non è subordinata a nessuno. Sei figlio di Dio e quindi devi decidere”, rifacendosi nuovamente all’importanza della partecipazione da parte di ogni singolo individuo.
Partecipazione che deve vedere tutti sullo stesso piano e qui don Gallo si aggancia ad un altro punto chiave: “Per costruire la democrazia – spiega – è necessaria l’uguaglianza delle donne. E finchè voi donne non avrete parità di dignità la piena democrazia non sarà possibile. Pensate alla mia Chiesa, dove al centro c’è l’amore di Dio, di Gesù e del Padre, tuttavia siete in uno stato di inferiorità. Si tratta di un’eresia, di una bestemmia perchè Gesù diceva: amo tutti. Non diceva: amo tutti, ma le donne un po’ meno… Tant’è che il creatore onnipotente ha donato il grembo materno a voi donne. E se il mondo va avanti lo dobbiamo al grembo materno, che accoglie il seme maschile”.
Il rispetto e l’uguaglianza per le donne passa anche attraverso la possibilità di interrompere la gravidanza per coloro che vengo violentate e stuprate. E il “prete di strada” critica ancora una volta la Chiesa ricordando la posizione che tenne Papa Giovanni Paolo II nei confronti delle donne Erzegovina, massacrate, violentate e stuprate durante la guerra di Bosnia. “Wojtyla disse: – imitandolo – ‘Sono a voi vicinooo; alla vostra sofferenza. Perchè però, voi donne, non seguite il piano di Dio? Perchè non accettate la maternità?’”. Don Gallo non ha remore nel bollare la posizione assunta in quell’occasione dal Papa come “fuori di testa”, spiegando: “Ma cosa ne sai tu Papa del piano di Dio? E cosa ne sai della maternità che, tra l’altro, sei celibe? Uno dovrebbe guardarsi bene dal dire certe cose. Cosa ne sai Papa della famiglia, dei problemi, e delle difficoltà che implica averne una? Ecco di nuovo la forza del potere maschile nei confronti delle donne. Oggi, in questo senso, c’è qualche segnale di speranza. Un mese fa i vescovi tedeschi si sono detti favorevoli alla somministrazione della pillola del giorno dopo alle donna violentate e stuprate…”.
E nel solco della critica alla Chiesa don Gallo denota la mancanza di “buone novelle: “Ogni momento c’è una crociata. Adesso vediamo con il nuovo Papa cosa succede. Ho visto dei segnali positivi… speriamo; perchè finora la Chiesa ha dato cattive novelle assumendo atteggiamenti sempre negativi: voi due avete avuto esperienze sessuali, all’inferno; voi siete divorziati, via! Unioni di fatto? Niente da fare. Ti masturbi? All’inferno anche tu… ma come? – si chiede Don Gallo – Dio è amore infinito, perfetto. E’ un amore a perdere… com’è possibile dire queste cose?”, paragonando poi Dio al sole che sta sullo sfondo nel quadro del Seminatore di Van Gogh che “illumina e scalda tutto e tutti, non solo i così detti buoni, senza chiedere nulla in cambio”.
Nel suo lungo monologo don Gallo non manca di raccontare simpatici episodi e aneddoti che hanno costellato la sua vita di “prete di strada”, come quella volta che venne convocato dal Cardinale, il quale gli chiese chi fosse il suo teologo di riferimento: “Paolo Rossi, il comico” rispose don Gallo, irritando il porporato. Non contento gli mostrò la maglietta che aveva con sé donatagli dallo stesso Rossi, sulla quale c’era scritto: “Dio c’è” e più in basso “Ma non sei tu” puntando il dito verso il Cardinale.
Esilarante anche il racconto del momento conclusivo del suo noviziato, quando al momento del congedo il Padre Salesiano gli chiese il nome: ‘Sono il chierico Gallo’, disse. Il Padre Salesiano fece un passo indietro, poi avvicinandosi sancì: “Caro chierico Gallo, tu non sarai mai Papa, perchè dire Papa-Gallo non sta bene…”.
La “lezione” di don Gallo ai bellanesi si conclude con il suo quinto Vangelo: “Quello secondo Fabrizio de Andrè”, l’amico cantautore al quale ha dedicato insieme ai suoi ragazzi della Comunità di San Benedetto al Porto una splendida lettera (sotto integralmente riportata) che don Gallo non manca di leggere con grande commozione, strappando applausi e qualche lacrima. Poi saluta tutti sventolando la bandiera della pace e saltellando sul palco come un giovincello.
LETTERA A FABRIZIO DE ANDRE’
Caro Faber,
canto con te e con tante ragazze e ragazzi della mia comunità.
Quanti Gerodie o Michè o Marinella o Bocca di Rosa vivono accanto a me, nella mia città di mare, che è anche la tua.
Anch’io ogni giorno, come prete, verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e per chi ha fame.
Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo. Non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione, nell’emarginazione, nella carcerazione. E ho scoperto con te, camminando per via del Campo, che dai diamanti non nasce niente. Dal letame sbocciano i fiori.
La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza.
Abbiamo riscoperto tutta la tua antologia dell’Amore: una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l’aspirazione alla libertà. Ma soprattutto il tuo ricordo e le tue canzoni ci stimolano ad andare avanti.
Caro Faber, tu non ci sei più, ma restano i migranti, gli emarginati, i pregiudizi, i diversi. Restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza…
La comunità di San Benedetto ha aperto una porta nella città di Genova, e già nel 1971 ascoltavano il tuo album Tutti morimmo a stento. E in comunità bussano tanti personaggi derelitti, abbandonati, puttane, tossicomani, impiccati, aspiranti suicidi, traviati, adolescenti, bimbi impazziti per la guerra e l’esplosione atomica.
Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente, che era ed è la nostra vita quotidiana nella comunità, abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, dalla solitudine può sorgere l’amore come a ogni inverno segue una primavera.
È vero, caro Faber, loro, gli esclusi, i loro occhi troppo belli, sappiano essere belli anche ai nostri occhi. A noi, alla nostra comunità,che di quel mondo siamo e ci sentiamo parte. Ti lascio cantando la Storia di un impiegato e la Canzone di maggio, che ci sembra sempre tanto attuale.
Ti sentiamo così vicino e così stretto a noi quando, con i tuoi versi, dici: “E se credete ora che tutto sia come prima, perché avete votato la sicurezza e la disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare, verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte. Per quanto voi vi crediate assolti”.
Caro Faber, tu parli all’uomo amando l’uomo, perché stringi la mano al cuore e risvegli il dubbio che Dio esiste. Grazie.
Le ragazze e i ragazzi con don Andrea Gallo, prete del marciapiede