“Cretino, verme schifoso…” insulti, ceffoni e pizzicotti alla Gilardoni

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MANDELLO – “Verme schifoso, grande asino, bambina viziata, cazzone, porca, scemo, cretino, deficiente, testa di cazzo, ignorante, ladro, poverino, coglione, bugiardo, imbroglione”. Questi alcuni degli insulti che Cristina Gilardoni avrebbe rivolto ai suoi dipendenti, in particolare agli addetti all’ufficio amministrazione della società, al terzo piano dell’azienda mandellese.

E’ quanto riportato dalle carte di chiusura dell’indagini preliminari stilate dalla Procura di Lecco sull’inchiesta, realizzata dalla Squadra Mobile, sui presunti maltrattamenti subiti dai lavoratori della Gilardoni Raggi X da parte della loro titolare. “Escalation di azioni persecutorie e maltrattamenti”, come ha sottolineato il procuratore Antonio Chiappani illustrando mercoledì mattina il risultato dell’attività degli inquirenti.

Maltrattamenti che per gli investigatori sarebbero testimoniati non solo dal racconto delle vittime ma anche da filmati e tracce audio raccolte dagli agenti attraverso la loro strumentazione all’interno dell’azienda. Frasi offensive ma anche “pizzicotti, graffi, schiaffi e ceffoni”, si legge ancora nelle carte della Procura.

“Non me ne frega un cazzo che tua mamma ha un tumore, organizzati”, avrebbe detto in un’occasione Cristina Gilardoni a un suo addetto, “vada al Cottolengo”. Una vera umiliazione per le maestranze, intimorite dalle minacce di licenziamento e di anche peggio (“per favore la pianti perché prendo un coltello e glielo tiro in pancia”). Sono ben 22 i casi di lesioni, con prognosi anche superiore ai 40 giorni, accertate dagli agenti.

Il capo del personale, oggi licenziato, Roberto Redaelli per gli investigatori avrebbe “presenziato alle aggressioni fisiche e verbali della presidente, appoggiandola, dandole ragione, segnalandole i dipendenti da richiamare e ingiurando a propria volta costoro, tempestando di telefonate e mail i dipendenti in malattia, mettendone in dubbio le patologie addotte, denigrandoli anche di fronte a terzi”.

Gli investigatori definiscono il comportamento di Redaelli come una “forma di controllo esagerato” nei confronti degli altri lavoratori, ai quali non sarebbero stati riconosciuti ferie o permessi, con l’attivazione di “continui procedimenti disciplinari, irrogando plurime e reiterate sanzioni fino a ottenere le dimissioni volontarie o il licenziamento disciplinare”.

Gli inquirenti contestano ai due anche “trattamenti economici discriminatori, diretti a subordinare l’assunzione, il trasferimento di un lavoratore, la sua affiliazione sindacale o partecipazione ad uno sciopero”, arrivando a concedere “un premio di 50 euro nella busta paga” a quarantasei dipendenti che non avevano preso parte allo sciopero del marzo 2010.

Un incubo da cui i dipendenti si sono svegliati solo alla fine del 2016, grazie alla decisione del tribunale di Milano che ha azzerato il consiglio di amministrazione dell’azienda, ponendone alla guida Marco Gilardoni, figlio dell’ex presidente.   Tra i sei indagati dell’inchiesta ci sono anche i due medici del lavoro Stefano Marton e Maria Papagianni, a cui viene contestata tra le altre cose “l’inosservanza degli obblighi inerenti alla funzione di medico” in relazione alle misure di tutela della salute psicofisica dei lavoratori.