Uccise il figlio: Aicha starà 10 anni in ospedale psichiatrico

Tempo di lettura: 3 minuti
aicha - tribunale (1)
Aicha Coulibaly sale le scale esterne del Tribunale di Lecco insieme ad un agente della Polizia Penitenziaria

LECCO – Dovrà passare i prossimi 10 anni in un ospedale psichiatrico: questa la decisione del Tribunale di Lecco nei confronti di Aicha Coulibaly, la 26enne di origine ivoriana che nella notte del 25 ottobre scorso, nella sua abitazione di Abbadia, ha assassinato il proprio bimbo, il piccolo Nicolò, di quasi tre anni, con un colpo di forbice al petto.

La donna non era imputabile del fatto in quanto ritenuta incapace di intendere e volere, sarà però affidata alla struttura dove già si trova ricoverata da fine novembre, l’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, dopo essere stata scarcerata.

In aula, ad ascoltare la sentenza del giudice anche il padre del bimbo ucciso, Stefano Imberti, titolare di impresa idraulica ad Abbadia, che attraverso il suo legale, l’avvocato Marcello Perillo, si è costituito parte civile.

aicha - imberti - perillo
L’avvocato Perillo insieme a Stefano Imberti, ex compagno di Aicha e padre di Nicolò

Aicha, capelli corti e sguardo provato ma presente, è stata trasportata al Tribunale di corso Promessi Sposi con un mezzo della Polizia Penitenziaria che l’ha prelevata dall’ospedale mantovano. Gli agenti l’hanno accompagnata dal retro del palazzo di giustizia all’aula dove ha incontrato il suo difensore, l’avvocato Sonia Bova.

Nonostante la richiesta del pubblico ministero Cinza Citterio fosse di cinque anni di ricovero in una struttura psichiatrica, il magistrato ha deciso di raddoppiare la durata della permanenza.

DSC_4444

“Immaginavamo l’assoluzione ma non che fosse decisa una misura di sicurezza per un tempo così lungo – ha spiegato l’avvocato Bova, difensore della 26enne – soprattutto dopo il discorso del pubblico ministero che, nel riconoscere alla stessa l’incapacità di intendere e volere, ha chiesto per lei le attenuanti generiche, ritenendo giusto un periodo di 5 anni. Una scelta che avrebbe premiato il comportamento processuale della ragazza, onesto e collaborante fino all’inizio. Da subito ha infatti ammesso le sue responsabilità e non ha mai cercato di nascondere la verità”.

L’avvocato, nella sua arringa, ha insistito sulla condizione di “solitudine esistenziale della giovane che nessuno ha compreso nel suo dramma, la depressione post parto che si è manifestata con la sua seconda gravidanza”  che sarebbe stata alla base del figlicidio ma a quanto sembra il giudice avrebbe preferito non sottovalutare la pericolosità sociale della donna, obbligandola ad un percorso terapeutico più duraturo, senza riconoscerle le attenuanti generiche.

aicha - tribunale (2)

Aicha è una persona diversa rispetto a quei drammatici giorni – spiega il legale – si sta sottoponendo a cure e sedute di psicoterapia e con il tempo ha già dimostrato dei miglioramenti. Ora attendiamo di conoscere le motivazioni della sentenza, dopodiché valuteremo se andare in appello oppure lasciare che la sentenza passi in giudicato e chiedere in un momento successivo di rivalutare la pericolosità sociale della ragazza al giudice di sorveglianza di Mantova”.

Diverso il commento dell’avvocato Perillo, difensore della famiglia Imberti: “ Il giudice ha valutato come troppo grave la pericolosità della giovane. Un esito atteso e la perizia effettuata dall’esperto non dava sbocchi se non quello dell’incapacità totale di intendere e volere della 26enne. Con la costituzione in parte civile abbiamo presenziato soltanto per un dovere nei confronti delle istituzioni e della bambina, la seconda figlia di Imberti. E’ stata una fase emotivamente molto intensa”.

“Per me questa storia è iniziata e finita quella sera” è stato il commento del papà del piccolo Nicolò.