Alberto Sesana, è di Lecco il ricercatore che ascolta il respiro dell’Universo

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Il lecchese Alberto Sesana
Il lecchese Alberto Sesana

Docente di Astrofisica a Milano-Bicocca, è uno dei ricercatori dell’European Pulsar Timing Array

Una nuova era nell’esplorazione dell’Universo è iniziata: pubblicati i risultati di oltre 25 anni di osservazioni

LECCO – Si chiama Alberto Sesana il docente lecchese di Astrofisica all’Università di Milano-Bicocca che fa parte del team di scienziati dell’European Pulsar Timing Array (EPTA) – un gruppo di 11 istituzioni tra cui due italiane (Istituto Nazionale di Astrofisica e Bicocca) – che in collaborazione con l’Indian Pulsar Timing Array (InPTA) ha pubblicato ieri i risultati di oltre 25 anni di osservazioni effettuate da sei dei radiotelescopi più sensibili del mondo.

Risultati che promettono di condurre a scoperte senza precedenti nello studio della formazione e dell’evoluzione del nostro Universo e delle galassie che lo popolano. Per la prima volta, infatti, è stato possibile “ascoltare” l’ampio e lento respiro dell’Universo, grazie alle osservazioni degli impulsi estremamente regolari provenienti da stelle “morte” chiamate “pulsar”.

“L’insieme di dati dell’EPTA – afferma il lecchese Sesana – è straordinariamente lungo e denso e ha permesso di ampliare la finestra di frequenza in cui possiamo osservare le onde gravitazionali permettendo una migliore comprensione della fisica delle galassie che si fondono e dei buchi neri supermassicci che esse ospitano”.

La lunghezza del set di dati consente infatti di sondare onde gravitazionali che oscillano in maniera incredibilmente lenta consentendo di esplorare sistemi binari di buchi neri con periodi orbitali di decine di anni. D’altra parte, la cadenza dei dati consente anche di studiare onde che compiono molte oscillazioni al mese, dando accesso a sistemi di buchi neri con periodi orbitali molto più brevi, dell’ordine di pochi giorni.

“Le pulsar sono eccellenti orologi naturali e possiamo usare l’incredibile regolarità dei loro segnali per cercare minuscoli cambiamenti nel loro ticchettio causati da sottili dilatazioni e compressioni dello spazio-tempo provocati da onde gravitazionali provenienti dall’Universo lontano”, spiega Golam Shaifullah, ricercatore presso l’Università di Milano-Bicocca nel gruppo di ricerca “B Massive” diretto da Alberto Sesana, professore ordinario dell’Ateneo, e finanziato dall’European Research Council.

Questo gigantesco rivelatore di onde gravitazionali – che dalla Terra si estende in direzione di 25 pulsar, selezionate all’interno della nostra Via Lattea e distanti migliaia di anni luce da noi – rende possibile sondare le onde gravitazionali a frequenze molto più basse di quelle già osservate dai cosiddetti interferometri terrestri, tra cui spiccano Virgo a Cascina (vicino a Pisa) e LIGO in USA. A queste frequenze si celano alcuni dei segreti meglio custoditi dell’Universo. Tra questi, la sfuggente popolazione cosmica di buchi neri binari con masse di miliardi di volte maggiori di quella del Sole. Essi si trovano ad orbitare al centro di galassie che stanno fondendosi, e durante questa sorta di ‘danza cosmica’, la teoria della relatività generale di Albert Einstein prevede che emettano onde gravitazionali ultra lunghe.

I risultati si basano su decenni di campagne di osservazione coordinate, che utilizzano i cinque più grandi radiotelescopi in Europa. I risultati dell’EPTA si confrontano con una serie di pubblicazioni oggi annunciate in parallelo da altre collaborazioni in tutto il mondo, facenti capo agli esperimenti di tipo PTA (pulsar timing array) australiano, cinese e nordamericano, noti rispettivamente come PPTA, CPTA e NANOGrav. I vari risultati sono consistenti fra tutte le collaborazioni, ciò che corrobora ulteriormente la presenza nei dati di un segnale dovuto ad onde gravitazionali. L’obiettivo è quello di ampliare gli attuali insiemi di dati, sfruttando misure effettuate su oltre 100 pulsar, osservate con tredici radiotelescopi in tutto il mondo. L’accresciuta quantità e qualità dei dati dovrebbe consentire agli astronomi di raggiungere l’obiettivo nel prossimo futuro, fornendo la prova inconfutabile che una nuova era nell’esplorazione dell’Universo è iniziata.