Il regista Marco Bellocchio al Lecco Film Fest racconta il suo ultimo lavoro, ‘Rapito’

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Marco Bellocchio

Il regista piacentino ospite del Lecco Film Fest ha dialogato con Mons. Milani della sua ultima pellicola ‘Rapito’

“Le cose che più mi sono piaciute del mio lavoro sono gli scatti di libertà”

LECCO – Marco Bellocchio ospite del Lecco Film Fest: sabato pomeriggio il regista ha dialogato con il prevosto di Lecco Mons. Davide Milani del suo ultimo lavoro, il film ‘Rapito’ che racconta la storia di un bambino ebreo, Edgardo Mortara (interpretato da Enea Sala) che nel 1858, all’età di 7 anni, venne prelevato dallo Stato Pontificio e tolto alla sua famiglia per essere cresciuto come cattolico.

Un lavoro non facile, a cui Bellocchio si è dedicato dopo l’abbandono del progetto, tra gli altri, di registi come Steven Spielberg. Un’opera controversa che racconta la vera storia di Edgardo Mortara, affrontata con rispetto, senza ideologie né pregiudizi ma esplorandone sfumature e contraddizioni.

Uomo e artista, Marco Bellocchio ‘nasce’ con una passione per la pittura come ricordato nell’introduzione al dialogo. Un’arte che ben presto però non è abbastanza perché ‘solitaria’. Quando il futuro regista si trasferisce a Roma per frequentare i corsi di cinematografia abbandona la pittura per dedicarsi ad un’arte ‘collettiva’ qual è appunto il cinema. Innumerevoli i capolavori firmati da Bellocchio, che sin da subito si dimostra molto bravo a dirigere gli attori. Il primo lungometraggio si intitola ‘I pugni in tasca’ e anticipa la ribellione giovanile del 1968.

“Se faccio una riflessione rispetto al mio lavoro – ha raccontato il regista al numeroso pubblico presente (in platea c’era anche l’attore Giulio Scarpati, famoso tra le altre cose per la serie ‘Un medico in famiglia’) – le cose che più mi sono piaciute sono gli scatti di libertà, i momenti in cui mi ribellavo e non accettavo imposizioni. Tutte le figure autoritarie, e non autorevoli, che ho incontrato nella mia vita mi hanno lasciato un senso negativo”.

Il film Rapito, proiettato venerdì sera in città, è stato definito da Mons. Milani “un film di potere ma allo stesso tempo di libertà. C’è il potere della Chiesa che in questo caso travalica, diventa cieco e violento, e la libertà ricercata da uomini e donne. Due elementi che procedono insieme”.

“Il paradosso della storia di Edgardo Mortara – commenta Bellocchio – è che dopo tutto diventa sacerdote, una sorta di missionario. Era stato segretamente battezzato quando non aveva ancora un anno, per essere ‘liberato da tutti i mali’ e questo secondo le rigide regole della legge papale gli impose un’educazione cattolica. Nonostante le disperate richieste della sua famiglia per riaverlo indietro, il pontefice si oppone e Edgardo cresce nella fede cattolica. La battaglia dei coniugi Mortara (Barbara Ronchi e Fausto Russo Alesi) riceve un riscontro importante nella comunità ebraica e assume ben presto una dimensione politica”. Il tutto sullo sfondo storico risorgimentale.

Nel film Bellocchio esplora, rispettandola, una dimensione fortemente religiosa pur definendosi non credente: “Per quanto io ammiri e rispetti per intelligenza o onestà chi crede nella religione io non so che dirgli, se non: ti ascolto, ti guardo, ma la tua fede non mi penetra. L’unica via che accomuna credenti e non credenti è la bellezza e l’arte: è ciò che più vicino ad una conversione io conosca” ha concluso.

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