Il racconto di una madre di Canzo colpita dal virus insieme al figlio 18enne
“Nessuna assistenza a casa, ora che siamo guariti ci facciano almeno il tampone”
CANZO – “Nessuno ci è venuto a fare visita. Siamo stati male, molto male. Ci siamo dovuti arrangiare e per fortuna ora stiamo bene”. A parlare è una quarantenne residente a Canzo (I.D.L.), madre di due figli, che ha dovuto fare i conti non solo con il virus ma anche con le difficoltà di un sistema sanitario che non è riuscito a fornire a lei e ai suoi familiari un’adeguata assistenza domiciliare per superare la malattia.
Il racconto inizia ai primi di marzo “quando ho iniziato ad accusare i primi sintomi – spiega la donna – tosse, febbre alta, olfatto e gusto alterati. Ho pensato che potesse essere una semplice influenza ma parlando con il medico di famiglia ci ha messo in guardia sul fatto che potesse trattarsi di Coronavirus. Pochi giorni dopo ho avuto una crisi respiratoria”.
In casa con lei, in quel momento, c’era il figlio 18enne della donna che ha subito contattato il numero di emergenza Covid messo a disposizione dalla Regione: “La mamma è cosciente?” avrebbero risposto dall’altro lato della cornetta. “Sì” risponde il figlio. “Risponde alla domande?” “Sì” “Allora in questo momento non possiamo fare altro per voi”. Questa, racconta la canzese, sarebbe stata la chiamata intercorsa con il servizio di aiuto telefonico.
“Per fortuna, la crisi è passata e ho preferito non chiamare il 112 per farmi portare in ospedale. Avevo il terrore di andarci, dopo aver sentito tutte quelle cose dette in quei giorni sugli ospedali – prosegue – mio marito è riuscito a procurare un saturimetro tramite la farmacia e una bombola di ossigeno”.
Le è stata data una terapia da seguire? Chiediamo. “Da Ats nessuna. Solo Tachipirina, Fluimucil e un antinfiammatorio prescritto dal nostro medico al telefono, che sono serviti a poco. Abbiamo contattato più volte Ats, hanno preso i nostri dati ma nessuno è mai venuto a visitarci a casa, né siamo stati mai contattati in altri modi”.
Qualche giorno dopo, anche il figlio 18enne si è ammalato. “Eravamo molto preoccupati perché lui è asmatico, allergico e immunodepresso. Non sapevamo cosa fare, per fortuna la bombola di ossigeno acquistata da mio marito lo ha aiutato a superare le crisi respiratorie”.
Nel frattempo la vita in casa è stata completamente stravolta. “Abbiamo vissuto ognuno isolato in una stanza, con mascherine e guanti, igienizzando ogni cosa dopo l’uso. Non è stato semplice soprattutto per mio marito che ha dovuto aiutare entrambi senza che nessuno ci dicesse cosa fare”.
Una situazione che, nonostante il miglioramento delle condizioni di salute di mamma e figlio, non può ancora tornare alla normalità: “Dopo tutte queste settimane, non siamo mai stati sottoposti a tampone, né all’inizio della malattia né ora che l’abbiamo superata. Il tampone ci può dire se siamo effettivamente guariti, ci dà la certezza di poterci riabbracciare con serenità e può dare la possibilità a mio marito di tornare al lavoro”.
Dopo uno scambio di email con Ats, dal 22 aprile la famiglia attende ancora una risposta dall’ente sanitario. “Vorrei fare il tampone per essere sicura di non contagiare nessuno e quindi poter rivedere i miei anziani genitori che vivono a due passi da casa e che non vedo da mesi – conclude – Ho il diritto di riabbracciarli”