Ospedale Manzoni, la lettera-appello di un’infermiera in pensione

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Ospedale Manzoni di Lecco

“Non possiamo relegare la nostra professione al mero rispetto di protocolli distaccati dalla realtà della vita ospedaliera”

LECCO – Riceviamo e pubblichiamo:

Sono un’infermiera di sala operatoria in pensione dal dicembre 2015. In questi anni ho seguito il decorso con declino dell’Ospedale Manzoni di Lecco. Nel 2020 con la pandemia da Covid19 avevo chiesto il rientro sia alla Regione che al Manzoni per potere dare un aiuto al personale sanitario. Avendo avuto una buona formazione sulle infezioni intra ed extra ospedaliere mi sono sentita pronta per dare una mano.

Le lungaggini burocratiche per rientrare e alcuni avvenimenti, purtroppo, mi hanno fatta desistere.

Con rammarico ho visto peggiorare questo Ospedale giorno dopo giorno attraverso i racconti di conoscenti e familiari ricoverati in quel periodo, ma anche di ex colleghi infermieri e medici delusi e rassegnati. Di questi alcuni si sono licenziati o si licenzieranno a breve se non vedranno cambiare la situazione, altri attendono la pensione senza ribellarsi.

Abbiamo aperto questo Ospedale nel 2000 con direttore Roberto Rotasperti. Il Manzoni è stato uno dei nosocomi migliori a livello nazionale. Alcune eccellenze sono sicuramente state l’introduzione della scuola del metodo Ilizarov aperta da Dott. Angelo Villa, Roberto Cattaneo e Maurizio Catagni che hanno formato ortopedici provenienti da tutto il mondo e la cardiochirurgia fortemente voluta e implementata in modo notevole nonostante i vicini ed importanti centri di Milano e Bergamo.

Ora, invece, aumentano sempre più gli interventi sospesi che dopo qualche giorno diventano interventi privati a spese del paziente. Il Manzoni non è una clinica privata… O forse l’obiettivo della Regione è proprio questo? Viene ingrandito il Pronto Soccorso al posto di investimenti nel personale e nella migliore organizzazione delle sale operatorie. È stata fatta la scelta, anche economica, di aprire un Hospice al posto, per esempio, di migliorare la riabilitazione postoperatoria e per sottolineare il fatto che l’ospedale è un luogo di cura più che di accompagnamento alla morte. Gli interventi di Otorino diminuiscono e verrà completamente chiuso il reparto di Oculistica (sono sei i medici oculisti, compreso il primario, che se ne andranno). La gestione totale o parziale di alcuni reparti viene data in appalto a cooperative esterne che inseriscono loro personale sanitario, invece di incentivare l’assunzione di personale ospedaliero altamente qualificato, questo probabilmente sempre per ragioni economiche e scelte organizzative più semplici. I rapporti umani, utili a risolvere problemi attraverso un confronto diretto tra personale sanitario e amministrazione, sono sostituiti dalle email. Il contatto con il paziente è stato azzerato durante il Covid e in alcuni casi si persevera ancora oggi con rigide regole. L’allontanamento dei familiari e l’isolamento del paziente sono stati deleteri per il decorso clinico di moltissime persone portandole addirittura ad esiti infausti. Questo non deve più succedere.

Il nostro lavoro è la cura della persona da ogni suo livello. Non possiamo relegare la nostra professione, che ha prima di tutto una vocazione profonda verso la vita umana, al mero rispetto di protocolli distaccati dalla realtà della vita ospedaliera sia dei sanitari, sia dei degenti.

Silvana Carenini