Tre ore di spettacolo al Sociale per raccontare la vita del Pirata

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LECCO –  Sabato sera, al Teatro Sociale di Lecco, la compagnia del “Teatro delle Albe” ha messo in scena la storia del più grande ciclista italiano del dopoguerra: Il Pirata Marco Pantani. Una storia che ruota attorno al 5 giugno 1999. L’inizio della fine, la gogna mediatica del campione amato dalla gente, che infiammava i cuori degli italiani con la spregiudicatezza con cui affrontava le montagne. Come confessò a Gianni Mura, andava così forte in salita per “abbreviare la propria agonia.”

Lo spettacolo – originariamente in programma il 16 maggio – era l’ultimo della rassegna lecchese “Altri Percorsi”, inserita nell’ambito dei Circuiti Teatrali Lombardi.

5.Pantani-foto Fagio

In Pantani ci sono tutti i protagonisti della vita del celebre Pirata, protagonisti attesi e inattesi. C’è la devota mamma Tonina, che ha fatto della battaglia per riabilitare il figlio una ragione di vita, e il padre Paolo, uomo concreto e disincantato. La storia di Marco Pantani si corre insieme a quella delle persone che lo hanno amato – gli amici di sempre, la sorella Manola, Pino Roncucci – e a quella di chi lo ha fermato per sempre: medici, federazioni e “la sostanza”. Ci sono perfino Renato Vallanzasca, il celebre bandito, e le scommesse clandestine.

Lo spettacolo di Marco Martinelli è basato sul libro scritto dal giornalista francese dell’Equipe Philippe Brunel – “La morte di Pantani” – che solleva più di un dubbio su quello che è avvenuto dopo il famoso 5 giugno 1999.

Quel giorno la lunga salita del Pirata era al suo culmine, più forte della sfortuna, più forte di tutti. Marco Pantani stava per vincere il suo secondo Giro d’Italia consecutivo e l’anno precedente aveva addirittura centrato l’accoppiata Giro – Tour, ultimo ciclista a riuscire nell’impresa.

Un valore di ematocrito troppo alto escluse il ciclista romagnolo dalla corsa che stava dominandolo, condannandolo a una lunga persecuzione mediatica e a una discesa più folle di quella che, in un video dell’epoca, lo mostrava volare a quasi 80 km all’ora. Una discesa che lo ha portato a morire solo e in circostanze poco chiare, al Residence Le Rose di Rimini, il 14 febbraio 2014.

Come ha dichiarato a Repubblica Marco Martinelli “ Quella di Pantani è una vicenda esemplare di come il Coni e il “sistema sport” in Italia siano specchio desolante della classe politica. Coni e Federcalcio hanno responsabilità pesanti nell’aver fatto dello sport italiano un pantano. E per ripulire il pantano, si sa, ci vuole il capro espiatorio.”

La lapidazione collettiva di Marco Pantani è iniziata quel 5 giugno 1999. Marco Martinelli, dopo averci mostrato gli esordi del Pirata, pone i riflettori su quello che è successo dopo. Il tiro al bersaglio, guidato da una stampa faziosa, che prima lo aveva messo sul piedistallo e poi lo aveva abbattuto. Il test dell’ematocrito da annullare per evidenti vizi di forma. Le assurde vicende giudiziarie che trasformarono una vittima in un carnefice.

Pantani vuole riabilitare la memoria di un campione triste, che ha scelto nell’autodistruzione la fuga semplice per scappare al mondo che prima l’aveva idolatrato e poi dileggiato. Tre ore per commemorarne la vita e le gesta, i lati oscuri e l’infinita tristezza di una donna che non ha ancora smesso di piangere il proprio figlio, che non ha ancora smesso di lottare per riabilitarne la memoria.

Il pubblico lecchese ha dimostrato di apprezzare lo sforzo, assistendo ipnotizzato alle vicissitudini della vita di Pantani e tributando un meritato applauso alla fine della rappresentazione.