LECCO – Nuova metodica, sperimentata in esclusiva, presso la Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Manzoni, per valutare efficacia ed efficienza della dialisi peritoneale in pazienti con insufficienza renale cronica.
E’ stata messa a punto nel corso di uno studio, durato cinque anni, i cui risultati sono stati sintetizzati in un articolo che sarà pubblicato su Nephrology , Dialysis and Transplantation , una delle riviste scientifiche più importanti e autorevoli al mondo in ambito nefrologico.
“In pratica – spiega Vincenzo La Milia, nefrologo del Manzoni – abbiamo applicato una tecnologia sanitaria esistente basata sulla conducibilità elettrica, che abbiamo chiamato PD- Biosensor, per valutare per la prima volta e con notevoli vantaggi e benefici rispetto alla tecnica tradizionale, la funzione della membrana peritoneale utilizzata per il trattamento dialitico intracorporeo”.
Come è noto, due sono i trattamenti dialitici salvavita previsti per i pazienti con insufficienza renale avanzata e con controindicazioni per il trapianto di rene: l’emodialisi o dialisi extracorporea e la dialisi peritoneale. “Il trattamento dialitico – precisa La Milia – consente di rimuovere l’acqua in eccesso e le sostanze tossiche che si accumulano nell’organismo a causa dell’insufficienza renale”.
Per la sua complessità, il trattamento emodialitico viene effettuato, in genere, tre volte alla settimana, in ospedale o in strutture in cui è presente personale infermieristico altamente specializzato.
La dialisi peritoneale è invece intracorporea e utilizza la membrana che riveste la cavità addominale. Può essere effettuata dal paziente stesso presso il proprio domicilio e, a differenza dell’emodialisi, viene effettuata tutti i giorni. Va da sé che, nel tempo, il trattamento può compromettere la capacità dialitica della membrana peritoneale. Per questo è necessaria una sua puntuale valutazione, con test di stimolazione che sono, tuttavia, lunghi, laboriosi, a volte anche di difficile interpretazione e che prevedono un corposo impegno organizzativo. Di qui l’obiettivo di messa a punto di una nuova metodica di valutazione che, sino ad oggi , non è mai stata sperimentata.
“Con l’utilizzo del PD-Biosensor l’impegno è minimo – dice il nefrologo dell’Ospedale di Lecco – con un basso impatto organizzativo; non comporta test di laboratorio e il risultato è istantaneo. Di più – continua La Milia – la valutazione può essere ripetuta spesso (ad esempio una volta al mese), anche a domicilio e dallo stesso paziente. Si evidenzia così, velocemente, l’eventuale compromissione della membrana dialitica permettendo di intervenire con correttivi terapeutici o predisponendo ulteriori analisi di approfondimento”.
“Lo studio realizzato – spiega Giuseppe Pontoriero, responsabile della Nefrologia e Dialisi del Manzoni – conferma la rinnovata capacità di innovazione e ricerca della nostra struttura apprezzata, da molti anni, nel panorama nefrologico mondiale”.