
LECCO – “L’indagine Metastasi si caratterizza come un atto di inchiesta temporale in continuità con tutti i procedimenti portati avanti negli ultimi quattro anni dalla Dda di Milano e che hanno come tema la radicalizzazione dell’associazione criminale mafiosa nota come ‘Ndrangheta nel territorio lombardo”. E’ cominciata così la requisitoria del Pubblico Ministero Bruna Albertini, atto inaugurale della fase di discussione del processo “Metastasi”, già ben calendarizzata dal collegio giudicante del foro lecchese e che, stando alle previsioni, dovrebbe concludersi con l’udienza del prossimo 23 febbraio. Se tutto dovesse procedere senza intoppi, come annunciato martedì dal giudice Enrico Manzi, l’attesa sentenza nei confronti dei diciassette imputati dovrebbe essere pronunciata martedì 1° marzo.
La requisitoria del pm – Lunga si preannunciava e lunga è stata la prima parte della requisitoria del pm Albertini, sospesa per ragioni di tempo intorno alle cinque e mezza del pomeriggio dopo quasi otto ore di udienza, nel corso delle quali il Pubblico Ministero ha ripercorso episodio per episodio l’attività criminosa dell’associazione guidata – secondo gli inquirenti – da Mario Trovato, inquadrandola a tutti gli effetti come “appartenente e continua” al Locale ‘ndrino della famiglia calabrese Coco Trovato, “uno dei sodalizi mafiosi più antichi e più importanti di Lombardia”, come lo ha definito il pm. Il magistrato ha così ricordato alcune delle maggiori sentenze pronunciate contro le locali della ‘Ndrangheta lombarda, tra cui quella che nel 1992 portò alla condanna del boss Franco Coco Trovato, “fratello dell’odierno imputato Mario arrestato durante l’operazione Wall Street” come ha sottolineato il pm, indicando quindi il Locale di Lecco come il “quartier generale dei Coco Trovato”.
Il magistrato ha quindi descritto come le indagini sul tema e le conseguenti sentenze abbiano aggiunto importanti tasselli alla conoscenza della storia della mafia al nord Italia: “Di fatto sono state comprovate le nascite di strutture di controllo territoriali composte dai responsabili di varie Locali, regolamentate da precise norme ascrivibili al metodo mafioso – ha spiegato il pm – che comprendono riti di affiliazione e altri collegamenti con la casa madre calabrese. Si tratta di una struttura unitaria che non va a inficiare l’autonomia del territorio dove il Locale è insediato e più che di infiltrazione è opportuna parlare di vero e proprio radicamento, che ha portato in Lombardia assoggettamento e omertà diffusa proprie della ‘Ndrangheta, anche a causa della disponibilità di imprenditori e politici ad istaurare rapporti di reciproca convenienza con gli esponenti della malavita”.

Il caso lecchese – Secondo la linea dell’accusa il caso lecchese delineatosi attraverso l’indagine Metastasi ha rilevato la presenza di una vera e propria organizzazione ascrivibile all’associazione di stampo mafioso “per i metodi e le attività condotte dai suoi componenti, il cui riferimento era proprio Mario Trovato, si può dire subentrato al fratello Franco Coco dopo l’arresto e la condanna”. Quartier generale del Locale era la Pizzeria 046 di via Pasubio a Lecco, “espressione di volontà associativa in emulazione all’ex pizzeria Wall Street” ha detto il pm.
Intimidazioni, protezioni, intestazioni fittizie, riciclaggio di denaro, infiltramento nelle pubbliche amministrazioni alcuni dei più comuni reati ‘tipici’ di un’organizzazione mafiosa, caratterizzanti degli episodi contestati – a diverso titolo – ai singoli imputati del processo Metastasi. In rassegna sono così finiti i casi di estorsione e minacce, tra cui l’episodio Old Wild West, la cui vetrina nel gennaio 2012 era stata crivellata da una serie di colpi di arma da fuoco, “un’azione di chiaro avvertimento – ha specificato il pm – imputabile al mancato pagamento del pizzo di protezione da parte dei proprietari”. Ricordati tra gli altri anche il caso di estorsione alla coppia Conti e Scalfò, le intimidazioni nei confronti di Giacomo Scaletta – tuttavia negate dallo stesso in sede d’esame (qui articolo) – e la richiesta di intervento e protezione a Trovato da parte di Simone Cavallaro, gestore di un bar a Seregno. Dall’analisi dei vari episodi sostenuta dalla lettura delle diverse intercettazioni depositate agli atti l’accusa ha rilevato “la posizione autorevole di Mario Trovato, la cui autorizzazione era necessaria prima di procedere”.
Per il pm però non sono solo gli episodi di estorsione a comprovare l’utilizzo da parte di alcuni imputati di un metodo mafioso ma anche “fatti sintomatici di una fama criminale propria di questa particolare organizzazione criminale, quali il controllo del territorio, effettuato in diversi modi, ad esempio attraverso l’infiltrazione nella pubblica amministrazione, un vero salto evolutivo per la mafia” ha ricordato il pm, prendendo in esame il caso di Ernesto Palermo, ex consigliere comunale di Lecco intervenuto in diversi episodi contestati dall’accusa come “comprovanti dell’utilizzo del metodo mafioso”.

Il Lido di Parè – Nel corso della sua requisitoria il magistrato ha definito la vicenda del pratone “emblematica della nuova e più sottile forza intimidatoria dell’associazione mafiosa, che poteva contare sull’aiuto di una figura come Palermo, interna all’amministrazione”. Illustrato dunque il “copione” col quale l’organizzazione, pilotata da Trovato, avrebbe interferito con il bando comunale per la gestione del Lido di Parè, arrivando a corrompere il sindaco di Valmadrera Marco Rusconi – accusato anche di concorso formale e reato continuato – e altri pubblici funzionari: “Non potendo presentarsi Trovato stesso al bando viene coinvolto un imprenditore incensurato come Antonello Redaelli, in modo da ridurre ogni rischio”. Se per l’accusa Palermo è il soggetto mediatore tra gli affari dell’organizzazione e l’amministrazione di Valmadrera, la posizione dell’ex sindaco Rusconi nella vicenda del pratone non è meno grave: “Dai primi contatti con Palermo Rusconi dimostra un atteggiamento reverenziale e di soggezione – ha detto il pm – che si protrae anche di fronte ai primi intoppi con l’arrivo della casella penale sul conto di Saverio Lilliu, socio di Redaelli. Invece che insospettirsi e agire di conseguenza Rusconi incontra Palermo e dalle intercettazioni registrate sembra chiaro che sia stato proprio il sindaco a suggerire il cambio di intestazione della società Lido di Parè Srl da Lilliu alla sua compagna incensurata”. All’arrivo dell’informativa atipica antimafia da parte della Prefettura poi, ha sottolineato il pm “Rusconi non riesce ad affrontare Palermo con autorità come un buon amministratore dovrebbe fare in questi casi e non cerca di fermare le cose nemmeno quando il nome dei Coco Trovato appare dietro al progetto Lido di Parè, bloccato da una sorta timore reverenziale, un tipico prodotto del metodo mafioso”.
La discussione finale e la sentenza – Incompleta la requisitoria del pm Albertini che martedì ha trattato solo cinque delle diciassette posizioni a processo e i relativi capi di imputazione. Stando al calendario, la pubblica accusa dovrà tirare le somme il prossimo 9 febbraio, formulando le proprie richieste di condanna. Quindi la palla passerà alla parte civile rappresentata dall’avvocato Donatella Saporiti. Nel corso delle prossime due udienze, previste il 16 e il 23 febbraio, toccherà alle altre difese esporre la propria requisitoria. La sentenza con ogni probabilità verrà emessa il 1° marzo.

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