Testimonianze della Resistenza e della Liberazione. Le vite dei fratelli Figini

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La lapide dei fratelli Figini
La lapide dei fratelli Figini

 

CALOLZIO – Due vite, quelle di Costantino e Giuseppe Figini, indissolubilmente intrecciate con l’eccidio di trentaquattro giovani partigiani del 31 dicembre 1944, ricostruite da Paola Maggi, la nipote, che fin da piccola ne ha conosciuto le storie attraverso le parole del padre Antonio, e della nonna Antonia, sorella maggiore di Costantino e Giuseppe.

“Ho conosciuto nei racconti di nonna Antonia, prima di ben quattordici fratelli, le vicende, i tratti del loro carattere e della loro vita così tragica e oggi li ricordo con emozione ed affetto – racconta oggi Paola – questa ricostruzione sarà  anche l’occasione per offrire una pagina di storia  locale ai miei alunni di terza media di Vercurago, Carenno e Galbiate che studiano la storia delle grandi guerre  e della Liberazione sui testi e per far cogliere e apprezzare loro quanto sia importante e necessario il  sacrificio,  il coraggio  e l’impegno per realizzare  grandi progetti per il proprio paese e per la nostra comunità”.

Di seguito riportiamo integralmente la ricostruzione storica di Paola Maggi:

I nazifascisti ai primi di ottobre, lanciano una grande operazione di rastrellamento in Valsassina e Bassa Valtellina con l’intenzione di distruggere e bruciare, rifugi, alpeggi e rompere con il terrore il filo di solidarietà che legava le formazioni partigiane della 55^ Brigata “Fratelli Rosselli” alla popolazione locale lecchese.  Sabato 30 dicembre 1944, la prima compagnia del 1^ btg. Mobile della brigata nera “Cesare Rodini” di Como, suddivisa in quattro squadre nazifasciste, dopo delazione di una spia, blocca ogni di via di accesso al baitone della Pianca, edificio posto sulla costa di Baldes, che dal versante valsassinese guarda la Valtaleggio. I nazifascisti bloccano la risalita da Avolasio e Vedeseta in Valtaleggio e anche i sentieri collegati a Morterone e alla Culmine di San Pietro. Nelle prime ore del mattino entrano nella baita della Pianca sorprendendo nel sonno 34 partigiani.  La sorpresa è totale, non viene sparato un colpo: i partigiani vengono allineati all’esterno della costruzione, spogliati di ogni oggetto di valore e messi al muro per essere fucilati.  Franco Carrara, ”Walter”, un partigiano di Alzano Lombardo tenta una fuga disperata per salvare documenti importanti. Davanti alla baita il pendio è ripido; Franco si butta alla disperata, ma non va lontano. Viene subito raggiunto da una scarica di mitra, poi alcuni militi fascisti scendono e lo finiscono: il suo corpo viene lasciato nella neve e ritrovato 20 giorni dopo dal parroco di Morterone per la sepoltura. Tutti gli altri partigiani vengono legati ai polsi con del filo telefonico trovato nella baita e solo dopo un ordine via radio, gli aguzzini decidono di obbligarli a camminare a piedi, in colonna, nella neve fino ad Introbio, in Valsassina, per l’interrogatorio. I partigiani catturati vengono fatti transitare e sfilare per essere umiliati attraversando i paesi, fino a raggiungere la Villa Ghirardelli a Introbio. Qui vengono interrogati con le ripetute violenze: alla mattina della domenica del 31 dicembre 1944, vengono caricati su due camion che partono verso Lecco. Inaspettatamente i camion lasciano la strada principale per Lecco e salgono a Barzio per dirigersi nei pressi del cimitero.  Dieci giovani ragazzi vengono obbligati a scendere insieme a un certo “Mina”, Leopoldo Scalcini, probabilmente il più maltrattato negli interrogatori, mentre Francesco Magni, “Francio”, viene spedito a Lecco nelle mani dell’Ufficio Politico Investigativo. Così gli undici ragazzi, alle 5 del mattino, dopo un sommario processo, vengono dichiarati colpevoli e sono immediatamente fucilati lungo il muro del cimitero di Barzio: i loro corpi trucidati sono buttati di fretta in una fossa comune, con i polsi ancora legati dal fil di ferro. Neppure viene concesso loro il conforto della presenza del sacerdote che arriva solo quando il plotone di esecuzione ha già concluso la sua opera.

Tutto questo è esattamente ciò che in modo chiaro e indelebile mi ha sempre ricordato, commossa, mia nonna: Antonia Figini.  All’età di 40 anni quei ragazzi li ha conosciuti e li ha aiutati spesso, ospitandoli in segreto nella sua casa natale nonostante le ripetute perquisizioni fasciste o portando loro di nascosto, con coraggio, di notte, da Maggianico a Morterone, notizie, rifornimenti e viveri. Lì a Barzio, insieme a quei 10 ragazzi, ha trovato la morte anche suo fratello, per lei come un figlio: Costantino Figini, partigiano di Maggianico di 26 anni.

Proprio lei ha riconosciuto con dolore, quel corpo tanto caro, ritrovato nella fossa comune di Barzio, riportante i segni evidenti del terribile atto e della disumana barbarie subita, avvolto in quel maglione di lana spessa che amorevolmente gli aveva preparato quel Natale, per proteggerlo dal gelo, quale presagio del suo ultimo conforto in quel caldo abbraccio di stoffa, che l’avrebbe poi accompagnato verso una più degna sepoltura nel cimitero di Maggianico vicino ai suoi cari.

Dopo questa strage, quel 31 dicembre 1944, i camion nazifascisti, ripartono e vanno verso Cremeno; passato il ponte della Vittoria, arrivano a Moggio: il presidio fascista fa scendere altri tre partigiani Silvio Perotto, Giuseppe Pennati e Mario Pallavicini e anch’essi fatti sfilare tra le case della frazione vengono poi fucilati nei pressi del cimitero.  Il convoglio fascista prosegue poi per Como dove arrivano i restanti partigiani che vengono in seguito tradotti a Milano presso il carcere di San Vittore. Consultando i registri del carcere di San Vittore emerge che il giorno 9 gennaio 1945 entrano nel carcere dodici persone che possono essere fatte risalire ai partigiani catturati alla Pianca in Valsassina. Dai registri risulta anche che il 22 marzo 1945 cinque partigiani sono deportati verso la Germania mentre gli altri sette, dei quali non si indica la destinazione, vengono assolti.

Il ricordo va anche al fratello Giuseppe Figini, ucciso il 26 Aprile del 1945 a Maggianico.  Un colpo improvviso dei tedeschi, sparato sulla folla, colpisce a morte il giovane indifeso Giuseppe Figini che attirato dalle voci e urla della gente per la resa dei tedeschi, si era fermato sul ciglio della strada principale di Maggianico per veder sfilare verso Lecco i nazifascisti sui carri militari.  Mia nonna e la famiglia Figini in quattro mesi subisce così due lutti gravi: la perdita di Costantino e quella del fratello Giuseppe il giorno dopo la Liberazione d’Italia.

Oggi rimane una lapide a Maggianico sul Corso E. Filiberto, in ricordo di Giuseppe e Costantino Figini, due fratelli che l’odio umano, in modo diverso, ha spezzato le loro giovani vite.   Questi sono alcuni fatti della storia della Liberazione e dell’eroica resistenza del nostro territorio, del dolore causato alle tante famiglie che hanno vissuto il 31 dicembre 1944 l’eccidio di 34 giovani ragazzi. Essi hanno cercato di difendere con la vita, l’amore per la libertà e la patria e hanno contribuito a donarci questo paese libero, dove noi viviamo e dove dobbiamo cercare di conservare i grandi valori della vita come responsabili testimoni di questa grande eredità.