Quattro mesi di coma profondo e 12 mesi di coma vigile, durante i quali si è risvegliato e pur imprigionato in un corpo rigido che non gli rispondeva, attraverso il movimento degli occhi comunicava con la famiglia e la findanzatina Dori. Ma poi a novembre scorso il coma lo ha riagguantato e portato alla morte.
Teo è Matteo Giuseppe La Nasa, 18 anni frantumati una sera calda di luglio a Versasio, davanti a un bicchiere di Coca-cola, quando gli è planata sulla testa un’auto proveniente da una curva 68 metri più sopra.
Oggi la sua storia è stata ricostruita davanti ai ragazzi di tutte le classi dei licei dell’istituto Maria Ausiliatrice qui a Lecco, dove il ragazzo era conosciuto perché la findanzata da cinque anni Dorella Panzeri, detta Dori, frequenta questa scuola.
E benché la madre di Te, Crocefissa Castiglia, abbia raccontato il giorno dell’incidente e la sua speranza affidata a Dio di salvare il figlio sia dall’handicap sia dalla morte, è stata proprio Dori a far breccia nell’attenzione dei ragazzi che comunque hanno ascoltato muti per un’ora.
La ragazza ha spiegato come Matteo negli ulòtimi periodi prima di morire fosse vigile e come si capisse che in quel corpo fermo si sentisse prigioniero e volesse fermamente ritornare alla vita. Come fosse riuscito a fare qualche passo e anche a dare una specie di calcio a un pallone.
Mentre le foto di un ragazzo di 1 metro e 80 e di 80 chili scorrevano mostrando i suoi viaggi, il suo stare insieme agli amici, alla fidanzata e poi lui ridotto a letto e nella sedia a rotelle passavano su uno schermo nella penombra della sala è stata la sorella di Teo, Claudia, a dare il messaggio più pregnante: “Rispettate e pensate alla vostra vita, in questo modo penserete anche a quella degli altri. Non fate questo ai frattelli degli altri”. Aggiungendo di non salire mai in un’auto dove si mette alla guida una persona bevuta o sotto l’effeto di droghe. “Prendete un taxi oppure chiate i genitori, tirateli giù dal letto anche se sono le quattro del mattino”.
Il punto è proprio questo. Lo ha spiegato bene l’avvocato Matteo Fumagalli della famiglia La Nasa. Essere al volante è un po’ come avere un’arma in mano e senza nemmeno rendersene conto può ccapitare di ritrovarsela fumante in mano dopo che ha sparato.
Il ragazzo che conduceva l’auto dell’incidente di Versasio non aveva bevuto, né era drogato, ma secondo i periti è uscito dalla curva per finire in basso a una velocità di 110 chilometri orari. Sparato fuori da un tornante stretto di montagna.
La madre di Matteo sospetta che fosse in corso una prova di velocità. Quel ragazzo di certo non pensava in quel luglio del 2010 di trovarsi poco più di un anno più tardi accusato di omicidio colposo e rischiare sette anni di galera.
Ed è per questo che Castiglia e la figlia Claudia La Nasa oltre ad essere spinte dal dolore di madre e sorella, girano le scuole d’Italia per ricordare che un’auto può distruggere diverse vite: quelle delle famiglie colpite. “La strada fa sparire ogni anno dall’Italia una città di piccole dimensioni, ci sono più morti di incidenti stradali che vittime nella guerra in Afganistan” ha ricordato l’avvocato Fumagalli.
Mercoledì Croce Castiglia sarà dal sindaco Brivio per chiedere che venga apposta una croce nel luogo dove uscì di strada l’auto che colpì il figlio e di fare controlli sulla strada di Versasio, dove – a quanto pare – ancora oggi ci s’inventa rallysti, almeno secondo una testimonianza di un giovane incontrato da Castiglia una settimana fa.