Lecco invecchia: un quarto della popolazione è over 65

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L’assessore al Welfare Manzoni: “Necessario rafforzare i legami di comunità per gli anziani'”

Con 12.000 over 65 oggi e proiezioni che indicano la crescita fino 16.000 entro vent’anni, Lecco si prepara a potenziare i servizi per gli anziani

LECCO – La popolazione invecchia sempre di più. Anche nella nostra Provincia la percentuale di over 65 è al 24% e la proiezione per i prossimi anni rivela che questi numeri sono destinati ad aumentare. Bisogni che cambiano e servizi che devono in qualche modo adattarsi all’evoluzione demografica della nostra società e, naturalmente, le spese pubbliche per l’assistenza e le cure degli anziani, già ingenti, che crescono. Un tema attuale, una sfida che, è stato detto più volte, deve essere affrontata in modo corale da istituzioni e associazioni. Ne abbiamo parlato con l’assessore al Welfare del Comune di Lecco Emanuele Manzoni.

Emanuele Manzoni
L’assessore Emanuele Manzoni

Assessore, partirei dal ‘fotografare’ tramite i dati la realtà di Lecco: quanti sono oggi gli over 65 in città? Qual è la proiezione da qui a 10 – 20 anni? Quanti di loro vivono soli, in condizioni di fragilità e /difficoltà?
Oggi vivono in città 12.000 persone over 65, circa un quarto della popolazione. La curva demografica teorica ci dice che già tra dieci anni avremo probabilmente 14.000 over65 e tra vent’anni circa 16.000. Questo significa certamente che abbiamo un problema rispetto alle nascite e rispetto a una popolazione attiva percentualmente sempre più piccola ma significa anche che la qualità di vita è progressivamente aumentata e porta a una maggior speranza di vita rispetto al passato. Dobbiamo poi fare attenzione: over65 non vuol dire parlare sempre di persone non autosufficienti. Gran parte di queste persone ha bisogni relativamente contenuti e necessità solo di una “presa in carico” leggera.

Come si integrano nella nostra città le necessità ‘sociali’ con quelle sociosanitarie e quindi i servizi di cura?
Si integrano abbastanza bene ma possiamo e dobbiamo fare molto di più e meglio. Non serve creare nuovi servizi ma farli dialogare in maniera sinergica tra loro. Da questo punto di vista abbiamo già alcune buone prassi, penso al progetto “Connessioni in rete” dove medici di medicina generale della città di Lecco e assistenti sociali condividono informazioni cruciali per la cura al domicilio delle persone. Mettere in relazioni queste due professionalità sta dando ottimi risultati. E poi il percorso partecipato che ha portato a stilare il documento “Case di Comunità: una proposta per il territorio” che ha visto lavorare insieme Comuni, ASST, ATS, ordini di medici e infermieri, associazionismo, cooperazione sociale, farmacie. Processi così delicati hanno bisogno di una grande condivisione territoriale. Senza moltiplicare i luoghi di confronto ma facendo funzionare quelli che già ci sono.

Quali sono le sfide da affrontare e qual è la parte del Comune?
La grande sfida è prima di tutto quella di contrastare la solitudine e creare densità intorno alle persone. Nel momento del bisogno è fondamentale avere un supporto prossimo. Il compito del comune poi è quello di sostenere le famiglie e favorire legami di comunità, senza sostituirsi alle une o all’altra, oltre a lavorare trasversalmente con tutte le aree per una città sempre più a misura dei cittadini che la abitano.

I rioni, è stato detto più volte, hanno un potenziale aggregativo importante e già diverse sono le realtà nate in diverse zone della città con questo intento, l’ultima a Bonacina. Realtà che consentono di monitorare le esigenze di questa fascia di popolazione e si pongono l’obiettivo di contrastare solitudine ed emarginazione (anche grazie all’instancabile lavoro dei volontari, risorsa preziosa). Che prospettive per i quartieri della città in relazione all’inversione della curva demografica?
I rioni, non solo nella loro accezione urbanistica ma intesi come comunità di relazioni, sono a mio avviso la chiave su cui costruire i processi di cura nella nostra città. Come amministrazione abbiamo sempre cercato di valorizzare il naturale policentrismo di Lecco, provando insieme alla comunità a ridefinire la vocazione di alcune strutture pubbliche nei rioni che rischiavano di diventare ferite nella città. Bonacina è uno degli esempi: presagendo la chiusura della scuola elementare abbiamo riprogettato gli spazi scegliendo di investire su famiglie, cura e sostegno alle fragilità. Ne è nato così il progetto del nuovo asilo nido di via Timavo, che ospiterà anche uno studio per il medico di base, e del nuovo spazio di comunità Labirinto Bonacina. Un luogo fortemente voluto da associazioni del rione e amministrazione, dove creare occasioni di incontro e dove la presenza dei servizi sociali può aiutare a monitorare i bisogni dei cittadini, in particolare quelli più anziani.

Per tenera alta o comunque migliorare la qualità di vita di una società sempre più vecchia servono investimenti sui servizi di assistenza e cura: quanto investe il Comune nel Welfare?
Il Comune di Lecco ha sempre scelto di investire in maniera importante su welfare e cura, non ponendosi mai però come semplice erogatore di servizi ma lavorando per rafforzare la comunità, moltiplicando in questo modo gli effetti del proprio sforzo. Il bilancio parla di più di 8 milioni totali per l’area servizi sociali. In questa cifra rientrano sia i servizi più tradizionali, come l’assistenza domiciliare o i pasti a domicilio, che tutto il lavoro ci costruzione di reti con le realtà del territorio.

Anziani mani genericaIl tema dell’assistenza agli anziani richiama necessariamente le Rsa: liste di attesa lunghe e rate spesso insostenibili. Idem il servizio di cura domiciliare (badanti, caregiver): si potrà mai rendere più accessibile questo servizio?
Il Comune di Lecco investe già più di mezzo milione di euro per integrare le rette delle persone in RSA che non sono in condizione di coprire i costi. L’obiettivo dei nostri servizi è quello di valorizzare la domiciliarità delle persone. È chiaro però che in talune circostanze si rende necessaria una struttura sociosanitaria capace di rispondere ai bisogni di assistenza. Questo non deve mai significare però una cesura netta con il contesto di provenienza della persona, nel senso che dobbiamo sempre più lavorare perché anche il passaggio in RSA, tranne che in casi eccezionali, possa permettere di mantenere il radicamento della persona nel territorio di provenienza e che le strutture possano dialogare sempre più con la comunità.