Mandello, l’addio a Venini. “Alberto ha seminato amicizia e affetto”

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MANDELLO – “Io penso che un messaggio di fondo Alberto ce lo possa lasciare. Lui era “el geometra”. Sappiamo tutti che il geometra pensa, fa progetti, inventa, dirige lavori. Il geometra quando deve fare un progetto mette in atto tutta la sua creatività, il suo ingegno e la sua inventiva. Allora perché non utilizzare tutta la nostra intelligenza e le nostre buone qualità per diffondere intorno a noi il Vangelo, l’amore di Cristo, il bene e la fraternità? Credo che questo possa essere il modo più bello per ringraziare i defunti e continuare a costruire quanto essi hanno iniziato”.

Così don Pietro Mitta ha concluso la sua omelìa nel giorno dell’ultimo saluto ad Alberto Venini, morto venerdì 5 maggio a Mandello (dove fu sindaco dall’88 al ’91) alla soglia degli 84 anni.

Erano in tanti, dentro la chiesa parrocchiale, a salutare “el geometra”, come lui stesso amava essere definito. Appena sotto l’altare la bara in legno chiaro coperta da un cuscino di fiori e, sopra, il suo cappello alpino.

Ai lati della navata  centrale il gonfalone del Comune di Mandello a testimoniare il lungo e attento impegno di Venini come pubblico amministratore. Poi i labari e i gagliardetti del Soccorso degli alpini, del Cai Grigne, del gruppo Ana di Mandello e della Polisportiva, società della quale Venini è stato socio fondatore.

A presiedere il rito funebre il parroco del “Sacro Cuore”, don Pietro Mitta. A concelebrare con lui il vicario don Michele Gini, il parroco di Abbadia Lariana don Vittorio Bianchi, don Ambrogio Balatti e don Mario Tamola, parroco di Olcio.

“Per la morte di Alberto prevale il buio del dolore – ha premesso don Pietro all’omelìa – prevalgono le lacrime e la sofferenza e tuttavia se “il Signore è mia luce e mia salvezza”, come abbiamo ripetuto nel salmo responsoriale, ci sarà un senso. Il Signore è luce perché è la vita, è luce perché è risorto e ha sconfitto la morte, è luce perché fa uscire tutti noi dalle tenebre e ci aiuta a superare la tristezza e il dolore perché ci vuole ridare vita, fiducia, speranza e forza per continuare il nostro cammino”.

Quindi una riflessione sulla morte. E sul senso della vita.“Probabilmente la morte – ha detto – è il grosso tabù della nostra epoca perché riguarda il senso della vita. Se ne parli, devi dire che senso ha vivere, altrimenti devi nasconderla, allora rinvii il senso della vita all’infinito. Qui invece viene affrontato il tema fondamentale dell’uomo: che senso ha vivere, che senso ha morire, da dove vieni e dove si va a finire. Se si escludono questi problemi nella considerazione della vita, tutto sommato si è nell’ignoranza sul perché si vive”.

“Il risultato di questa ignoranza – ha aggiunto il parroco – diventa tristezza, o peggio angoscia, e diventiamo come quelli che non hanno speranza, ma non avere speranza è terribile perché la speranza è il futuro. E la speranza cristiana ci dice che c’è un futuro di gioia e di luce per coloro i quali muoiono nel Signore”.

Don Pietro non ha peraltro nascosto che “abbiamo tanti motivi per essere nel dolore nel ricordare con nostalgia la vita di Alberto”, che ha vissuto un’esistenza “molto intensa, quantitativamente e qualitativamente, impegnato su più fronti”. “Ha amato molto anzitutto il suo lavoro – ha spiegato – e bastava dire “el geometra” per capire che la persona in questione era lui. Serio, competente, caparbio, tenace e determinato. Lo si è visto impegnato anche in politica ed è stato di aiuto a tante persone, sia nella sua attività lavorativa sia nella sua attenzione e sensibilità nei confronti di associazioni di volontariato e opere sociali”.

“Era sensibile – ha affermato ancora il sacerdote – e si impegnava a suscitare la stessa sensibilità negli altri. Era tanto fermo e irremovibile nel lavoro quanto affabile e tenero verso i nipoti, ai quali voleva tanto bene. Giocava a lungo con loro e raccontava le sue avventure di alpino”.

Poi un pensiero a chi gli è stato vicino: “È morto circondato dai familiari e nei suoi ultimi giorni non è mai rimasto solo. Ha respirato fino alla fine la presenza attenta e premurosa delle persone che gli volevano bene e per capire quanto Alberto abbia saputo creare intorno a sé amicizia e affetto basta vedere quanta gente gli ha fatto visita in questi due giorni”.

Prima della fine della cerimonia a ricordare Venini è stato anche don Vittorio Bianchi, che aveva conosciuto Alberto in gioventù. “Poi ci eravamo persi di vista – ha affermato il parroco di Abbadia – ma di recente mi capitava di incontrarlo ai Campelli. Un giorno, consapevole della sua malattia, mi disse che era stanco della vita, di quella sua vita. Mi guardò negli occhi e mi chiese di parlargli un po’ del Signore”.

“Gli raccontai allora quello che il cuore mi dettava – ha aggiunto – e mi parve che in quelle parole lui trovasse conforto e soprattutto recuperasse il coraggio di continuare a vivere”.

Poi altre testimonianze: “Sei stato un maestro e un esempio e ci hai insegnato che libertà vuol dire avere rispetto per gli altri, ci hai insegnato l’onestà e la correttezza. Ci ha insegnato il valore delle cose semplici e del servizio verso gli altri”. E ancora: “Il lavoro era la tua vita, al punto che la tua colazione erano il caffè e… la Gazzetta ufficiale”.

Un applauso e la bara con le spoglie di Alberto Venini, portata a spalle dai “suoi” alpini, ha lasciato la chiesa del “Sacro Cuore” per l’ultimo viaggio verso il cimitero del capoluogo.