Figli di una ragione minore

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“Bevo alla distruzione della mia famiglia.
Se c’è un Dio, la maledizione potente di un padre
li strappi tutti dal trono di Dio”.
(A. Artaud,
I Cenci)

“Tale è lo sgomento che s’impadronisce dell’uomo
nello scoprire la figura del suo potere, che se ne
distoglie nella sua stessa azione quando questa la mostra nuda”
(J. Lacan, 1953)

 

1. Dei limiti della scienza medica

Trattare della natura dell’alcoolismo, sarà subito chiaro, “porta molto lontano. Ebbene è da tale molto lontano che partiremo, per ritornare verso il centro — cosa che ci riporterà molto lontano1.

Prima di iniziare a considerare l’approccio che la psicoanalisi propone per l’alcoolismo, ritengo che sia interessante considerare come la medicina affronti questo problema. E’ curioso notare come la teoria medica inserisca l’alcoolismo all’interno del D.S.M., eletto ad organo ufficiale dell’O.M.S (Organizzazione Mondiale della Sanità). Questo significa che al fianco della schizofrenia, della paranoia, troviamo (seppur in capitoli diversi) le tossicodipendenze, l’alcoolismo, ma anche la tricotillomania (!), il sonnambulismo (!!), l’esibizionismo… roba da matti, appunto.

Il manuale psichiatrico, in linea con la sua “neutralità” (sic!) e con la sua presunta a-teoricità (risic!)2, non ci spiega la terapia dell’alcoolismo. Avere risposta a questo angoscioso dubbio è piuttosto semplice. Agli occhi attenti della medicina il “problema alcoolismo” sembra di facile soluzione, basta una soluzione medica, l'”Antabuse” (e cioè un sulfa-midico), ed ecco che al vino viene preferita, quasi magicamente, la Coca-Cola. Ai miei occhi, forse disattenti, certamente un po’ (tanto) miopi, l’alcoolismo fà questione; insomma la mia testa più che il luogo del pensiero logico e razionale, come lo pensava Descartres — sembra essere Ginnunga gap, nome con il quale gli scandinavi antichi definivano la regione dell’eterno caos. Ritengo altresì piuttosto evidente che, il discorso medico, nella sua chiarezza, dia per scontato un concetto che merita di essere approfondito: il desiderio del paziente di guarire.

La centralità del desiderio di guarigione emerge più volte nei discorsi dei dottori ed è facile che sfugga la disinvoltura con cui si confrontano questi signori con tale concetto. Eppure quando si parla di desiderio, si dovrebbe prestare molta attenzione poiché è questa una categoria piuttosto scivolosa su cui è molto facile avere dei pre-giudizi.

Riguardo alla medicina bisogna poi sottolineare che questa, negli ultimi 1-200 anni, ha rivolto la propria attenzione quasi esclusivamente su due aspetti: a) uso del farmaco; b) controllo ambientale — a mo’ di prevenzione?. E’ chiaro che facendo questa scelta, i signori dottori se ne sono letteralmente “infischiati” del desiderio del paziente. Si può dire, con un gioco di parole piuttosto carino, che la medicina ha fatto del subjectus, abiectus. C’è un paraddosso all’interno del quale si muove la medicina. Infatti, se da un lato la scienza medica considera il soggetto come oggetto da studiare e da manipolare, come ha mostrato M. Foucault ne La nascita della clinica; dall’altro bisogna considerare che “fino a tanto che si suppone in lui valore d’organismo, si conserva la nozione che esso è un soggetto”3. Questa contraddizione non può invece sussistere quando ci si mette, come accade in analisi, ad ascoltare un soggetto che parla; il soggetto parlante “deve per forza essere ammesso come soggetto (…) per il semplice motivo che è capace di mentire”4. C’è voluto quindi un certo signor Sigmund Freud per ricordare che il malato, prima ancora di essere paziente, è “Essere” (scritto con la E maiuscola). Detto per inciso: è proprio a causa di questo misconoscimento del soggetto desiderante che la pratica medica può scadere nell’accanimento terapeutico5.. Questa dissertazione ci porta ad affrontare un primo aspetto cruciale del problema: la medicina cura (?) le varie malattie. L’ alcoolismo è una malattia? La questione si gioca proprio su questo punto.

Una graziosa pubblicità di un farmaco ci dice: “Quando uno ha il mal di testa, ha un solo desiderio: che gli passi”. Questa pubblicità, che probabilmente farebbe sorridere anche la buon anima del generale La Palice, potrebbe essere presa come manifesto dell’attuale orientamento della medicina. E’ curioso che l’alcoolista non sia altrettanto convinto di voler smettere di bere ed è questo che fa impazzire i medici. Riguardo l’alcoolista si potrebbe “sfornare” questo messaggio promozionale: “Quando uno beve, ha un solo desiderio: smettere… Forse, ma non oggi”.

Il “forse” indica una scelta, più o meno libera, del soggetto, su cui la medicina non penso possa fare molto, a differenza di quella “roba strana” a cui Freud ha dato il nome psychoanalyse. Questo nome Freud lo ricava dal greco “yuch analusis“, e cioè “analisi dell’anima”, sottinteso, umana6. Il cervello, quindi gli psiconalisti non lo toccano, tanto meno lo “strizzano” (come vorrebbe una certa tradizione popolare); i medici invece, sempre loro, grazie ad un martello e ad una sega si divertono ad aprirci la testa. A tal proposito è indicativo leggere come Michel Foucault descriva i primi tentativi di apertura della scatola cranica: “Allora il frutto s’apre: sotto il guscio meticolosamente aperto, qualcosa appare, massa molle grigiastra, avvolta da pelli viscose con nervature di sangue, triste polpa fragile nella quale irradia, finalmente liberato, finalmente dato alla luce, l’oggetto del sapere”7.

Penso che sia ormai chiaro come “via Ippocrate” — la via dei medici — , non conduca molto lontano — almeno rigurado il tema dell’alcoolismo. Esiste una una seconda via che ci permetterebbe di avvicinare il fenomeno alcoolismo. Si tratta di quella che si potrebbe definire, filosofico-teologica — ma sarebbe meglio dire, teologica-filosofica. E’ questo un percorso troppo complesso da affrontare e che il tempo non ci permette di “soppesare” quanto meriterebbe. Mi limito quindi a rimandare ad un’opera che rappresenta uno dei momenti più alti della speculazione che Tommaso d’Aquino compie sull’etica, e cioè le celebri Quaestiones disputate De malo. Le questioni sul male fanno parte delle discussioni dette quodlibetali, e cioè di su un argomento quodlibet, “a caso” (e cioè che non apparteneva in senso stretto al programma di studi della facoltà di teologia), che studenti e docenti decidevano di discutere. L’andamento del discorso è tipicamente tardo-medioevale e si basa su continue tesi, obiezioni e risposte attorno ad un tema (quaestio) che viene solitamene suddiviso in sottoargomenti (articules)8. In Tommaso la scansione — quaestio, articoli, tesi a favore dell’articolo (quod sic), tesi contro (quod non), risposte alle obiezioni — è ancora relativamente chiara, ed quindi possibile orientarvisi. Con il passare degli anni le distinzioni, le “aperture di parentesi” all’interno del discorso, si faranno sempre più complicate, lo stile via via più macchinoso ed oscuro. E’ per questo che, quello può essere considerato il più grande studioso di filosofia medioevale di tutti i tempi, Etienne Gilson parlerà di “tramonto delle belle lettere”. Ed è per lo stesso motivo che il tramonto del tomismo verrà vissuto dagli intellettuali rinascimentali come un atto liberatorio, come — per dirla sempre con Gilson — il “ritorno delle belle lettere”9.

Nelle Questioni sul Male, l’alcoolismo viene inserito all’interno del vizio di gola; scrive infatti l’aquinate: “anche la crapula appartiene alla gola (crapula autem gulam pertinet)”10. Tommaso si interroga sul fatto se il peccato di gola sia da considerarsi un peccato mortale o meno. La risposta alla questione è, come sempre accade nel discorso di Tommaso, articolata: bisogna infatti distinguere il caso in cui l’assunzione smisurata di cibo (o, nel nostro caso di alcool) avvenga per portare in modo consapevole un danno al proprio corpo, oppure il danno al corpo che scaturisce dall’eccessiva assunzione di cibo sia una conseguenza “al di là dell’intenzione (preter intentionem) del goloso”11. Nel secondo caso non si tratta certo di peccato mortale, mentre se la persona intenzionalmente assume troppo cibo per autodistruggersi allora questo “non sarebbe discolpato dal peccato mortale (non excusaretur a peccato mortali)”12. Non è possibile vedere qui quale sia la posizione che occupa l’alcoolista, anche perché — almeno questo è il mio pensiero — le due ipotesi che Tommaso contrappone non mi sembra che si escludano a vicenda. La tesi che comunque sta alla base del discorso dell’aquinate è questa: siccome “appartiene all’essenza della gola il disordine del desiderio (inordinatio concupiscentie)”13, l’alcoolista è — pur non commettendo necessariamente peccatum mortale — essenzialmente un Wertblind, e cioè una persona incapace a intuire i valori14.

2. La via analitica

C’è una terza via — figlia certo di una ragione, e forse anche di un dio, minore — quella della psicoanalisi che essendo, paradossalmente, una scienza del “particolare”15, ci consente di agire proprio su quella scelta soggettiva, su quell'”insondabile decisione dell’essere”16, che Freud ha definito “equazione personale”17, su cui la scienza medica non può fare quasi nulla.

Ma quali sono le fondamenta su cui si regge l’intero impianto psicoanalitico? I concetti su cui si basa la psicoanalisi, J. Lacan li ha sistematizzati nell’undicesimo dei suoi seminari, e sono: “l’inconscio, la ripetizione, il transfert, la pulsione”18. Di questi quattro punti ne tratteremo “solo” due e cioè il concetto di pulsione (Trieb) e quello di ripetizione (Wiederholung). In modo particolare ci interesserà osservare il punto di annodamento tra questi due concetti.

Prima di tentare di chiarire questi due concetti è necessario però riprendere la Traumdeutung, quando Freud sistematizza ciò che le isteriche gli avevano insegnato, e cioè che il soggetto è diviso, per cui esiste una parte conscia (Bewusst) ed una inconscia (Unbewusst). E’ per questo motivo che Lacan scrive, nella sua algebra: $, e cioè “soggetto barrato”, diviso, lacerato dalla barra della rimozione. E’ questa la “scoperta prometeica” — e quindi diabolica, direbbe Pannella — che compie Freud e che è ormai di dominio pubblico. Non voglio quindi romperVi le tasche su L’interpretazione dei sogni, è un’opera assolutamente straordinaria, che merita certamente di essere letta e riletta.

Un testo che ora ci interessa maggiormente, Freud lo dà alle stampe circa 20 anni dopo, quando esce un libro sconvolgente dal titolo enigmatico: Al di là del principio di piacere. E’ in questo testo che Freud crea quella che si potrebbe definire “la pietra dello scandalo”. Freud dopo avere detto, nella Traumdeutung, della divisione soggettiva (Spaltung) tra la parte conscia e quella inconscia, aggiunge ora che il soggetto è anche strutturalmente contro se stesso o, — per dirla con le parole di J.-P. Sartre, “L’être humain (…) il est (…) celui qui peut prendre des attitudes négatives vis-à-vis de soi19.

Bisogna sottolineare con vigore una importante distinzione spesso ignorata che attraversa tutto il pensiero di Freud: quella tra pulsione (Trieb) e istinto (Istinckt). La pulsione non è l’istinto. E’ ciò Lacan trova in Freud e insegna senza sosta ai suoi allievi20. E’ questa una distinzione fondamentale: questo significa che la pulsione sessuale non sta a lato dell’istintualità. Lungo tutto l’itinerario freudiano troviamo continuamente l’idea che non c’è nulla di naturale, di istintuale nella sessualità umana; per farsi un’idea di questo basta leggere un piccolo gioiello di Freud, si tratta di un formidabile articolo del 1908, dal titolo Über infantile Sexualtheorien (letteralmente: Sopra le teorie sessuali dei bambini, dove über — Dio solo sa il perché — nelle traduzioni italiane viene sempre eliso). E’ questo forse il testo dove Freud dice nel modo più drastico e senza mediazioni che la sessualità umana è assolutamente diversa da quella animale. La sessualità umana — Freud su questo punto è molto preciso — non è una sessualità tra le altre, infatti “Se, dopo aver rinunciato alla nostra corporeità, potessimo (…) guardare con occhi nuovi le cose di questa terra, ad esempio da un altro pianeta, nulla colpirebbe forse maggiormente la nostra attenzione dell’esistenza fra gli esseri umani di due sessi, i quali, pur simili in tante cose, dimostrano la loro diversità attraverso i contrassegni più esteriori21.

In Al di là del principio di piacere, il testo che segnerà quella che viene definita la svolta degli anni ’20, viene introdotta un’ulteriore complicazione; qui, infatti, Freud sostiene che in ogni essere vivente esiste una spinta verso la morte, Toderstrieb, che si contrappone alle pulsioni sessuali (Sexualtrieb), alle pulsioni di vita, (Lebenstrieb). Questa pulsione di morte è “più originaria, più elementare, più pulsionale [triebhafter è il termine tedesco] di quel principio di piacere di cui non tiene alcun conto”22. E’ questo uno dei risultati più importanti e sorprendenti della ricerca freudiana. Da Al di là del principio di piacere ricaviamo quindi due aspetti che ci interessano riguardo il concetto di pulsione: 1) Trieb ¹ Istinckt; 2) Ci sono due specie di pulsioni: Toderstrieb, Sexualtrieb (o, Lebenstrieb).

Non intendo ricostruire, passo per passo, una sorta di “smontaggio pulsionale” poiché questo richiederebbe molto tempo. Qui mi interessa solo mettere in evidenza l’esistenza di due specie di pulsioni poiché questa ipotesi Freud non la abbandonerà mai più… E in tanto noi cui stiamo avvicinando al cuore del problema. A questo punto introduco un passaggio cruciale che spiegherò più avanti da accettare, per ora, come assioma:

Toderstrieb + Sexualtrieb = godimento

E’ questa una schematizzazione piuttosto grossolana che, in seguito, preciseremo meglio ma che è necessario tenere a mente.

Nel 1937, Freud ha ormai ottant’anni, è ammalato da quindici da un tumore alla mascella per il quale ha subito trentatrè operazioni, in questi mesi si vede costretto a preparare i bagagli per riparare a Londra (1938) in seguito all’invasione nazista, gli viene chiusa la Società Internazionale di Psicoanalisi, sempre ad opera dei nazisti, e dopo la perdita degli allievi più cari (Abraham muore nel 1926, Ferenczi nel 1933), sente la necessità di scrivere un trattato sui limiti della psicoanalisi. E’ questo il contesto drammatico che fa da sfondo a Die endliche und die unendliche Analyse. Grazie a quest’opera grandiosa, ci troviamo nel cuore del problema che stiamo affrontando, eppure qui Freud non parla assolutamente di alcoolismo. E lecito chiedersi per quale motivo ci interessi tale scritto. Il nostro interesse è dovuto al fatto che qui vi sono una serie di affermazioni che giustificano le difficoltà che si incontrano nel trattamento dei sintomi, e quindi, anche dell’alcoolismo. Scrive, infatti, Freud: “esistono manifestazioni residue, un parziale restare indietro”23 e ancora, poche righe dopo: “ci sono manifestazioni residue”24. Freud ci mostra qui con straordinaria maestria che esiste un’attaccamento assoluto del paziente al proprio sintomo. In questo testo di Freud — come ha messo bene in evidenza J.-A. Miller — esiste un ternario dominante: “trauma, pulsione, io”25. Ritroviamo il concetto di pulsione, e ne aggiungiamo un quarto ai tre isolati da Miller: il sintomo. Questa addizione ci porterà immediatamente a considerare l’altro concetto che dobbiamo affrontare: la ripetizione.

3. I tre registri trascendentali

Il sintomo — è questo che Freud grida senza sosta — torna sempre allo stesso posto, è ciò che si ripete, alla faccia del riduzionismo medico. La psicoanalisi (almeno quella lacaniana) ci spinge ad una nuova visione del sintomo considerandolo da molteplici punti di vista:

1) Il sintomo tocca un versante simbolico, è una costituzione logico-metaforica. Detto più semplicemente il sintomo è il sostituto di un desiderio rimosso. E’ questo l’assunto più celebre della psicoanalisi: il sintomo è simbolo di una verità più profonda, nascosta che “preme” dal di dentro del soggetto e si manifesta proprio nelle formazioni sintomatiche e nei sogni. L’andamento è cioè il seguente: un desiderio moralmente inaccettabile alla coscienza viene rimosso (Verdrängten), il sintomo rappresenta il ritorno del rimosso (Wiederkehr des Verdrängten). Il riferimento qui al celebre caso di Anna O.26 e, più in generale alle gravidanze isteriche, è d’obbligo. Il sintomo ci consegna quindi un sapere che va oltre il soggetto, un sapere — per dirla Maud Mannoni — che non si sà.

2) Il sintomo tocca un versante immaginario, identificatorio, narcisistico. Questa nozione la troviamo sviluppata in un dei testi più celebri di Lacan Lo stadio dello specchio come formatore dell’io. E’ questo un’altro assimoma quasi universalmente riconosciuto nell’ambito psicoanalitico. Questo aspetto è particolarmente evidente nell’anoressia dove tutto il problema ruota attorno al tema del verdersi perfetta, (a)-sessuata, ma anche nell’omosessualità il cui legame con l’identificazione è evidente.

Il nodo tra Immaginario e Simbolico è certamente un’aspetto che ha conosciuto una straordinaria fortuna. L’eremeneutica — che con Paul Ricoeur ha trovato uno dei suoi massimi esponenti nel campo psicoanalitico — nel suo tentativo di ridurre la psicoanalisi ad una disciplina dell’interpretazione ne è l’esempio più evidente e cristallino. Si può schematizzare così il paradigma ermeneutico:

I——–> S

senso

S <———I

L’asse I®S (immaginarizzazione del simbolo) rappresenta ciò sta alla base della produzione del sintomo, l’asse I¬S (simbolizzazione dell’immaginario) coincide con l’interpretazione dell’analista. Il movimento tra questi due assi, produce il senso.

E’ questo il sogno della teoria ermeneutica: il soggetto racconta una storia che è piena di “buchi neri” (sintomi, lapsus, dimenticanze, sogni) che l’analista deve completare. A fine analisi alla struttura disordinata e mancante che il soggetto inizialmente porta in seduta subentra, grazie al lavoro di interpretazione, una struttura ordinata e completa (guarigione del paziente). Gli ermeneuti — la cui teoria è tutt’altro che ingenua e certamente molto più fine e complessa di come l’ho presentata qui — probabilmente fingono di non conoscere quello che Douglas Hofstadter ha definito come una delle tre perle dell'”Eternal Golden Braid27 (Eterna Ghirlanda Brillante) e cioè il celebre “teorema di incompletezza” del matematico Kurt Gödel.

Il teorema di Gödel dice che “Ad ogni classe k che sia w-coerente e ricorsiva corrispondono segni-di-classe ricorsivi r tali che né Gen r né Neg (v Gen r) appartengano a Flg (k) (dove v è la variabile libera di r)”28; come nota umoristicamente Hofsdater, probabilmente si avrà avuto “l’impressione di sentir parlare arabo. Ecco invece la parafrasi in un italiano più corrente: Tutte le assiomatizzazioni coerenti dell’aritmetica contengono proposizioni indecidibili” (corsivo mio)29. Vedremo di semplificare ancora questa proposizione e di adattarla alle nostre esigenze.

I logici sono oggi concordi nell’estendere a tutti i sistemi “sufficientemente potenti” il teorema di incompletezza30. E l’insieme dei significanti è certamente “sufficientemente potente” (dove per sufficientemente potente intendiamo un sistema che possa rappresentare tutte le verità primitive che ricorrono nel sistema stesso). Potremmo così riformulare il teorema di Gödel: una struttura ordinata e completa, o non esiste o è contradditoria. Insomma, in ogni sistema “sufficentemente potente” ci sono delle proposizioni sulle quali non possiamo stabilire se siano o meno vere; se volessimo rendere decidibili tutte le proposizioni del nostro sistema, lo faremmo a dispetto della sua coerenza.

Lacan sostiene, opponendosi al “riduzionismo” della teoria ermeneutica anche in base a ciò che Gödel ha dimostrato31, che la teoria psicoanalitica se considerasse il sintomo solo in questi due aspetti, sarebbe monca. Manca cioè un terzo aspetto, da cui non possiamo assolutamente trascendere.

3) Il sintomo trascina con sé, sempre, del godimento (mehrlust, in Freud, jouissance in Lacan). E’ questo l’aspetto reale del sintomo. E’ questo un punto cruciale nel pensiero lacaniano. Qui Lacan “fa i conti” con Hegel e costruisce una vorticosa equivalenza tra reale e godimento. E cioè:

reale (R) = godimento (J)

Chi ha studiato Hegel ricorda la celebre identità presente nella sua Filosofia del diritto:

reale = razionale

Qui Lacan è contro Hegel: se infatti Hegel tendeva ad appiattire la razionalità sulla realtà, Lacan — dicendo che il reale è il godimento —, collocare questo registro in un luogo “altro” rispetto al senso. Sostenendo cioè che il reale è ciò che è fuori-senso, Lacan mostra che c’è qualche cosa che cade al fuori, al di là, della circolarità ermeneutica:

I———–> S

senso

     S<————-I   

                                      |
|
|
\/

                                      R

E’ proprio l’aspetto reale che sancisce l’incompletezza di ogni interpretazione, anche la più approfondita. L’interpretazione non porta cioè mai ad una comprensione completa, la via del senso ad un certo punto sprofonda in quella del “fuori senso”. E’ possibile cioè compiere un’analisi particolarmente approfondita, su un sogno, su un sintomo, su un lapsus, su di un atto mancato, ma ad un certo punto: alle Pfade ins Dunkel münden — “tutti i sentieri sfoceranno nel buio”32.

Per articolare la connessione tra il registro Simbolico, Immaginario e Reale, Lacan ricorrerà, nel corso del tempo, rispettivamente allo Schema R (negli anni ’50), teoria dei discorsi (dal ’70), Nodo Borromeo (dopo il ’75). Nell’ultima di queste tre schematizzazioni è più evidente il modo in cui si legano tra loro i tre registri trascendentali:

E’ questa una rappresentazione a piatto del Nodo Borromeo. Come si può vedere il senso lo troviamo nell’intrecciarsi del registro Simbolico con quello Immaginario, il Reale rimane in posizione altra; dove c’è il reale abbiamo abbiamo espulsione di senso. E’ questo il punto di maggior rottura tra Lacan e il paradigma ereneutico. Non tutto può essere ridotto al senso, esiste sempre un nucleo che risulta essere non interpretabile e, quindi, inattaccabile dal senso. Nell’alcoolismo è assolutamente evidente questo trascinamento pulsionale, che pone il soggetto in un rapporto ambivalente con il proprio sintomo. Quando parliamo di un sintomo, dobbiamo sempre considerarlo da queste tre prospettive. Anche il sintomo alcoolismo, quindi, va letto da questi tre versanti “il simbolico, l’immaginario e il reale: questo è il numero uno”33, tenendo ben presente l’importanza che riveste il terzo punto, poiché è questo che fà resistenza al trattamento, e che spinge il sintomo a ripetersi, poiché il reale “‘ritorna sempre allo stesso posto’, come gli astri e i traumi”34.

Fine parte 1 – continua

1 J. Lacan, Il Seminario. Libro II. L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicoanalisi, Torino, Einaudi, 1991, p. 5.

2 AA.VV., D.S.M. III r. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Masson, 1990., p. 10 e sg.

3 J. Lacan, Il Seminario. Libro I. Gli scritti tecnici di Freud, Torino, Enaudi, 1978, p. 241.

4 Ibid., p. 241.

5 A questo proposito mi permetto di rinviare al mio: La vita è mia? Note a margine di uno spettacolo teatrale, in “Quaderni Milanesi di Psicoanalisi”, 1995, n° 6, pp. 91-95.

6 Cfr. S. Freud, Ipnotismo e suggestione, in particolare il capitolo intitolato “Trattamento psichico (trattamento dell’anima)”, in Opere (12 vol.), a cura di C.L. Musatti, Torino, Boringhieri, 1980, vol. II, pp. 93-111.

7 M. Foucault, La nascita della clinica, Torino, Einaudi, 1982, p. 7.

8 Sulla questo cfr., J. Verger, Condition de l’intellectuel aux XIII et XIV siecles, in Philosophes médiévaux. Anthologie de textes philophiques (XIII et XIV siécles), Paris, 1986, Editions 10/18.

9 Cfr., H. Gilson, La filosofia del medioevo, Firenze, La Nuova Italia, 1985, pp. 861-903.

10 Tommaso d’Aquino, I vizi capitali, Milano, Rizzoli, 1996, quaestio XIV, art. 2, sed contra A, p. 537.

11 Ibid., quaestio XIV, art. 2, risposta alle obiezioni 4, p. 543.

12 Ibid.

13 Ibid., quaestio XIV, art. 2, risposta, p. 541.

14 Oltre alle Quaestiones disputate de malo, la distinzione tra peccato morale e veniale viene analiticamente affrontato nella monumentale Summa theologica, Torino, Marietti (Typographia Pontificia et Sacrae rituum Congregationis, Domus a. 1862 condita),1918, tomus secundus, quaestio LXXXVIII.

15 J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, in Scritti, Torino, Einaudi, 1974, p. 254.

16 J. Lacan, Discorso sulla causalità psichica, in Scritti, cit., p. 171.

17 S. Freud, Il problema dell’analisi condotta da non medici, in Opere, cit., vol. X, p. 387.

18 J. Lacan, Il Seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, Torino, Einaudi, 1979, p. 14.

19 J.-P. Sartre, L’être et le neant, Paris, Gallimard, 1990, p. 82.

20 J. Lacan, Del Tieb di Freud e del desiderio dell’analista, in Scritti, cit., pp. 855-858.

21 S. Freud, Le teorie sessuali dei bambini, in Opere, cit., vol. V, p. 453 (corsivo mio).

22 S. Freud, Al di là del principio di piacere, in Opere, cit., vol. IX, p. 209.

23 S. Freud, Analisi terminabile e interminabile, in Opere, cit., vol. XI, p. 511.

24 Ibid.

25 J.-A. Miller, Commento ad Analisi terminabile e interminabile, in Atelier Milanese 1992-93, vol. 3, Milano, Gisep.

26 In S. Freud, Studi sull’isteria, in Opere, cit., vol. I, p. 189-212.

27 Cfr. D. Hofstadter, Gödel, Escher, Bach; un’Eterma Ghirlanda Brillante, Milano, Adelphi, 1994.

28 Ibid., p. 18.

29 Ibid.

30 Cfr. G. Lolli, Incompletezza. Saggio su Kurt Gödel, Bologna, Il Mulino, 1992.

31 Sul rapporto Lacan/Gödel si vedano: J. Lacan, La scienza e la verità, in Scritti, cit., pp. 859-882, e l’interessante articolo di E. Laurent, La Scuola e il peggio, in “Quaderni Milanesi di Psicoanalisi”, cit., pp. 86-90.

32 S. Freud, L’interpretazione dei sogni, in Opere, cit., vol. III, p. 467.

33 J. Lacan, La terza, in: “La Psicoanalisi”, Roma, Astrolabio, 1993, n° 12, p. 15.