Alpinismo. Caduta in un crepaccio al Gasherbrum, spedizione finita per Moro e Lunger

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Simone Moro, ospite a Lecco lo scorso novembre in occasione della serata Gamma con Alex Txikon

Incidente per Moro e Lunger al Gasherbrum

In un posto su Facebook il racconto dell’alpinista bergamasco

PAKISTAN – Spedizione terminata per Simone Moro e Tamara Lunger dopo l’incidente avvenuto sabato scorso al Gasherbrum. L’alpinista bergamasco e la sua compagna di cordata stavano salendo verso Campo 1, avevano superato il labirinto di crepacci e seracchi sopra il Campo Base e procedevano sul plateau sommitale quando si è verificata l’improvvisa caduta. Ora stanno bene ma i due alpinisti se la sono vista davvero brutta, le conseguenze dell’incidente potevano essere ben peggiori. Moro e Lunger erano impegnati in una vera e propria impresa, la traversata invernale del Gasherbrum I e II in Pakistan. Simone Moro ha affidato il racconto dell’accaduto a un post pubblicato lo scorso 19 gennaio sulla sua pagina Facebook.

Simone Moro e Tamara Lunger tra i crepacci sopra il Campo Base del Gasherbrum – Ph Credits : The Vertical Eye – Matteo Pavana

Il racconto di Simone Moro

“Tutto è bene quel che finisce bene. Senza stare a girare troppo attorno al concetto, ieri siamo arrivati veramente a un soffio da un epilogo tragico e funesto sia per me che per Tamara. Eravamo intenzionati a passare due notti sulla montagna, raggiungere campo 1, dormire lì e il giorno dopo dirigerci verso campo 2.

Eravamo finalmente fuori dalla cascata di ghiaccio, avevamo superato anche l’ultimo grosso crepaccio e procedevamo sul plateau sommitale. Sempre legati perché sapevamo che i crepacci erano sempre in agguato e antenne sempre dritte ma il morale alto e la soddisfazione di aver superato tutto il labirinto di ghiaccio grande.

Ma la giornata non era finita e quello che ci aspettava terribile.

Approcciando un crepaccio mi sono messo come sempre in posizione per assicurare Tamara che per prima lo ha attraversato e si è poi portata in zona di sicurezza, 20 metri oltre il crepaccio.

Poi è venuto il mio turno e dopo una frazione di secondo, mi si è aperta una voragine sotto i piedi e sono precipitato. Tamara ha subìto uno strappo tanto violento che è letteralmente volata fino al bordo del crepaccio e io in caduta libera a testa in giù per 20 metri sbattendo schiena gambe e glutei sulle lame di ghiaccio sospese nel budello senza fine in cui continuavo a scendere. Largo non più di 50 centimetri, tutto buio.

Sopra Tamara aveva la corda avvolta intorno alla mano e gliela stringeva come una morsa e le provocava dolori lancinanti e insensibilità. Io ero al buio e lei lentamente scivolava sul ciglio del crepaccio. Il tutto complicato dal fatto che lei aveva le racchette da neve ai piedi. Sono riuscito con una mano a mettere un primissimo precario ancoraggio e, pur sentendomi lentamente scendere verso l’abisso ho avuto la lucidità di prendere la vite da ghiaccio che avevo all’imbrago e fissarla nella parete liscia e dura del crepaccio. Quella vite ha fermato lo scivolamento mio e la probabile caduta nel crepaccio di Tamara.

Da lì, senza entrare nei dettagli, ci siamo inventati il modo di uscire. Quasi due ore dopo. Contorsionismi e mille sforzi mi hanno permesso al buio e schiacciato tra due pareti larghe 50 cm di risalire in piolet traction tutto il crepaccio.

Tremolante e con mille contusioni ho abbracciato Tamara che piangeva anche dal dolore alla mano. Mentre salivo era riuscita ad organizzare una bella sosta di recupero e ad assicurarmi mentre scalavo i 20 interminabili metri di ghiaccio liscio. Siamo scesi al campo base già allertato e rassicurato via radio.

Oggi ho organizzato l’evacuazione con richiesta di accertamenti medici per entrambi. Oggi i dolori sono più forti e la mano di Tamara parzialmente insensibile e non utilizzabile.