Una via di grande valore sulla Est del Torre, aperta in stile alpino con De Zaiacomo e Bacci
“Non riesco ancora a festeggiare, la tristezza ci accompagna. Spero che il tempo possa rendere il giusto valore a questa nostra storia”
LECCO – “Bernaaa! Pasquiii! Mi sentite?!? Siamo in cima al Torre!” Inizia così il racconto dell’alpinista e Ragno della Grignetta Matteo Della Bordella. C’è voluto un po’ di tempo per mettere in fila tutte le idee e tracciare il bilancio di una spedizione che da un lato ha visto l’apertura di una via inseguita da anni con i compagni Matteo De Zaiacomo e David Bacci e dall’altro ha visto la morte di Corrado Korra Pesce, un amico alpinista che i tre lecchesi hanno incrociato casualmente sulla montagna.
Poche ore fa, però, il Della Bordella ha raccontato l’apertura della nuova via Brothers in arms sulla parete Est del Cerro Torre, in Patagonia. Un itinerario davvero importante che percorre il “mitico” Diedro degli Inglesi.
Il racconto
“Bernaaa! Pasquiii! Mi sentite?!? Siamo in cima al Torre!” Eh si, proprio il Cerro Torre. Siamo saliti, in stile alpino, sulla parete Est lungo tutto il diedro degli inglesi e poi sulla Nord, dritto per dritto fino alla cumbre!
Ci sono milioni di montagne al mondo, ma il Torre è il Torre. E chi, come noi, ha accarezzato il suo granito o ha anche solo visto la sua sagoma spuntare dalla pampa, capisce perfettamente cosa intendo dire.
“Brothers in arms” è il punto di arrivo di un cammino in Patagonia iniziato con Matteo Bernasconi 11 anni fa, è la via che avrebbe dovuto essere l’apice del nostro percorso insieme come amici, come alpinisti e come cordata.
“Brothers in arms” è stato anche il grande sogno di Matteo Pasquetto, con il quale ho condiviso i primi veri tentativi sulla via. Tentativi decisivi e ricchi di esperienze forti per entrambi, in due, con condizioni non ottimali, sull’immensa parete Est.
“Brothers in arms” non è solo un sogno, ma una ragione di vita, qualcosa in grado di dare un senso alle nostre esistenze. Per me ed anche per i miei compagni David Bacci e Matteo De Zaiacomo, che sono stati eccezionali. Si sono fidati di me quando gli ho chiesto di farlo ed hanno preso il comando della situazione quando gli ho chiesto di prenderlo. È stata una via che ci ha portato al limite delle nostre capacità, e forse anche un po’ oltre. Conoscenza e preparazione, fiducia reciproca, coraggio e fortuna sono stati i 4 ingredienti magici che ci hanno permesso di realizzare questa via, per me incredibile.
Durante i tre giorni della salita, quante volte il pensiero è corso agli inglesi Phil Burke e Tom Proctor che nel 1981 erano stati in grado di fare una performance al di fuori del tempo, salendo tutto il diedro sulla Est ed ancora una decina di tiri sulla Nord, arrivando molto vicini alla cima, dopo un mese di permanenza in parete. Un’impresa d’altri tempi, il cui pensiero ci ha trasmesso forza e coraggio davanti a difficoltà che sembravano insormontabili. Come quelle del diedro, dove i tiri di fessure “off-width” si susseguivano senza tregua uno dopo l’altro e diventavano sempre più difficili, strapiombanti ed estenuanti, man mano che salivamo verso l’alto.
Quante volte in questi tre giorni ho rivisto Matteo Pasquetto scalare quei tiri come tre anni prima col suo inconfondibile sorriso sulle labbra e il suo entusiasmo, quante volte mi sono immaginato Berna in sosta, infondermi la calma necessaria nei momenti più critici. Pensando ai due Mattei in cima mi veniva da piangere. Piangere dalla felicità per aver realizzato il nostro grande sogno, piangere perché avrei voluto che anche loro in quel momento fossero lì con me, David e Giga.
Dopo quello che è successo non ce la faccio ancora a festeggiare, una profonda tristezza ci accompagna qui a El Chalten, ma spero che il tempo possa rendere il giusto valore a questa salita e a questa nostra storia.