“L’Italia nel bicchiere”. Alla scoperta della viticultura eroica e dei suoi grandi vini

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RUBRICA – Cari amici del buon vino italico impazienti, come il sottoscritto, di riassaporare i piaceri dell’enogastronomia con la sacrosanta tranquillità, vi mando un messaggio da quei piccoli territori dove coltivare la vite e produrre vini di grande qualità viene intesa come  “viticultura eroica”.

Lo spunto me lo ha fornito l’assaggio di un delizioso spumante rosè prodotto sull’isola d’Elba, vicino a Capoliveri, col vitigno aleatico.

Conoscendo le difficoltà logistiche e climatiche di quei territori, spesso molto più piccoli, scomodi e impervi dell’Elba, mi son sentito di radunare le idee per raccontarvi di alcuni di questi piccoli-grandi vini assaggiati recentemente.

Sicuramente uno dei migliori vini bianchi mai assaggiati è il valdaostano “Neige d’Or”  dell’azienda Les Cretes, che si avvale della collaborazione di un giovane enologo di Lecco a cui devo l’assaggio. Trattasi di uvaggio con Petite Arvine in prevalenza, integrato con Pinot Grigio e Chardonnay provenienti da vigneti di oltre trent’anni letteralmente strappati alla montagna. Se ne producono in media solo 2500 bottiglie all’anno, costicchia un po’, ma vale la pena assaggiarlo.

Restando in tema di vini bianchi, un’altra perla dell’enologia ”eroica” è il “Faro della Guardia” di Casale del Giglio, qualche centinaia di bottiglie prodotte sull’Isola di Ponza col vitigno Biancolilla.

Scendendo la penisola, approdando sulle scogliere della Costiera Amalfitana in località Furore, non si può fare a meno di far conoscenza del “Fior d’Uva” di Marisa Cuomo, ottenuto con tre uve locali semisconosciute Ginestra, Fenile e Ripoli. Come lo provi ti vien da pensare che abbinargli un bel piatto di “spaghetti allo scoglio” come li cucinano da queste parti non sarebbe affatto una cattiva idea.

A proposito di scogliere e di vigneti spettacolari penso che il top lo si raggiunga alle Cinque Terre. In questo contesto emerge l’Azienda Campogrande, che fa capo al noto barolista Elio Altare, di cui ho avuto il piacere (una sola volta) di assaggiare il preziosissimo Sciacchetrà.

Roberto Beccaria
Roberto Beccaria

Da non perdersi neppure il Grillo di Mozia, grillo inteso come vitigno autoctono non come insetto (battutaccia), prodotto sulle sabbie della microscopica isola prospicente le saline di Marsala, grazie alla collaborazione fra Tasca d’Almerita e la proprietà Whitaker, due famiglie che fanno parte della storia del vino Siciliano e del Marsala.

Proprio dalla Sicilia sono arrivate alcune sorprese fantastiche concernenti i vini rossi. La prima, laciando perdere il costo elevato, riguarda l’Etna Rosso “Prephillossera” di Terre Nere, ottenuto da piante centenarie di Nerello Mascalese a piede franco, che è davvero emozionante.

Fantastica è stata anche la degustazione comparativa di quattro “Neri d’Avola – Contrade di Pachino” di Gulfi. Nelle contrade Baronj, Maccarj, Bufaleffj e San Lorenzo, i vecchi vigneti di oltre 40 anni che non vengono mai irrigati tirano fuori l’anima più nobile di questo vitigno spesso maltrattato e sminuito.
Le sfumature di questi quattro gioiellini variano in relazione alla conformazione del terreno e la vicinanza della vigna al mare  ma sono uno più buono dell’altro.

Tornando all’Isola d’Elba e a quella stimolante bollicina rosè dell’Azienda Tenuta delle Ripalte da cui è nato il discorso, devo dire che il loro vero fuoriclasse è senza dubbio l’Aleatico Passito, a cui fa compagnia il “Rosso Mediterraneo” un Alicante (Grenache) in purezza davvero niente male.

Un altro vino più unico che raro è la Vernaccia Nera di Serrapetrona, prodotto nelle Marche in un minuscolo territorio collinare in provincia di Macerata.
E’ reperibile quasi esclusivamente nella versione spumantizzata, e lo inserisco negli “eroici” per l’ elaboratissimo procedimento di spumantizzazione per il quale viene chiamato il “vino delle tre fermentazioni”: la prima avviene dopo la pigiatura 60-70% delle uve che daranno origine ad un vino rosso leggero e profumato. A questo vino viene aggiunto il mosto in fermentazione derivato dalle rimanenti uve messe ad appassire, come imposto dal disciplinare DOCG. Infine la terza fermentazione si riferisce alla presa di spuma nei processi  Metodo Classico o anche Charmat.

Finisco il discorso con un paio di segnalazioni riguardanti i fantastici passiti delle Isole minori come la Malvasia delle Lipari, per lo più prodotta sull’Isola di Salina con interpretazioni anche molto differenti tra loro da produttori come Hauner, Tasca d’Almerita, Florio, Caravaglio o Colosi. Ma non c’è solo questo, per esempio ho assaggiato il “Nero Ossidana” di Tenuta Castellaro un vino rosso prodotto a Lipari col vitigno Corinto, davvero unico ed intrigante.

Anche a Pantelleria, dove le vigne di Zibibbo (insieme ad altre in Italia) sono patrimonio dell’umanità, non ci si limita ai grandi passiti come Il Ben Rye di Donnafugata, il Bukkuram di De Bartoli o il Khamma di Salvatore Murana, si va oltre producendo anche vini bianchi e rossi molto particolari ma sempre equilibrati e gradevoli come lo zibibbo secco “Praia” di Murana o i rossi “di Marco” De Bartoli o “Tilliria” di Bonomo entrambi ottenuti con uve Perricone chiamato in loco “Pignatello“o anche “Nero Nostrale”.

Mi fermo qui, augurandomi di avervi  trasmesso una minima parte del mio entusiasmo e della mia passione per il vino italiano, per una volta mi sono permesso di essere ambasciatore non solo dei grandi Classici, ma anche di queste piccole “perle enologiche”  frutto  di territori degni di essere visitati, magari già quest’anno col ritorno normalità anche nel settore viaggi-vacanze.

Statemi bene e non smettete di… assaggiare per credere

Roberto  Beccaria


 

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