RUBRICA – Carissimi lettori, bentrovati! Quest’oggi pongo alla vostra attenzione i cosiddetti “rimedi della nonna”, soluzioni antiche a problemi fisici che anche oggi attanagliano l’uomo; come constaterete leggendo le “ricette” che seguono (tutte tratte da “Usi e costumi del bormiese” di Glicerio Longa, edizioni “Magnifica terra”) alcune sarebbero ancora oggi praticabili (non è un consiglio, mi raccomando, sono qui riportate a mero titolo storico e documentale), altre sarebbero oggi difficilmente proponibili per la difficoltà di reperire alcuni “ingredienti” (ad esempio la pelle del calcagno di un falco o di un’aquila per debellare i dolori della gotta), altre ancora hanno un sapore “magico” e addirittura sciamanico come quella della lumaca “sfracassata” durante il plenilunio con una pietra bianca per curare i calcoli vescicali.
Cominciamo col “Remédi per i tap: quando uno è diventato duro d’orecchi o sordo come una campana, bisogna colargli dentro qualche gocciola di succo di torsi di cavolo mischiato con un po’ di vino tiepido”. Il “mal de skèna” si curava facendo bollire insieme miele, resina liquida di larice, grasso di animale maschio, olio vergine di lino e di oliva; si otteneva un unguento da spalmare sul dorso e utilissimo anche per facilitare la guarigione delle piaghe; anche l’unguento di olio e cera era efficacissimo per “saldare” le piaghe che prima del trattamento dovevano essere lavate con una piuma bagnata nell’urina di maschio.
Per i “rèum si fa scaldare in un recipiente una manciata di assenzio pestato con due bastoncelli, legno contro legno, oppure si scalda una pietra verde e si tiene su una notte o due”.
Per “li moròjdi: unguento di aglio ben cotto mescolato con sapone molle”.
“Contra la tos o bòlza dei ragazzi: succo di prezzemolo, polvere di ginepro e latte di donna, se ne fa un mischiamento e lo si dà da bere al ragazzo che finirà di tossire si acqueterà”. Si noti che uno degli ingredienti è il latte di donna!
Per curare i calcoli vescicali (detti “al mal de la prèda”) è suggerito un procedimento quasi magico: “quando è il plenilunio si prende una lumaca nuda o senza guscio, le si sfracassa la testa, dov’è una pietra bianca, si prende questa pietra, si riduce in polvere e si beve in un bicchiere di vino bianco, che gioverà”.
E ancora, “se uno fosse morsicato da qualche mostro di cagnolo rabbioso (Morduda velenosa): egli è necessario aver subito il fegato di questo cagnolo e arrostito glielo si darà da mangiare”.
Propongo qui oggi questi antichi rimedi perché danno conto dello stretto legame che l’uomo aveva non solo con la Natura ma con l’Universo tutto; il Creato era una vera e propria “farmacia”. Oggi l’uomo si sente sempre meno parte di un tutto organico ed “intelligente”, l’antico sapere è andato scomparendo, il legame con la Natura si è grandemente affievolito, perciò ci si affida ciecamente ed esclusivamente alla scienza e alle medicine “sintetiche”; sarà un bene? Ai posteri l’ardua sentenza!
Giovanna Samà
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