Il racconto del laorchese Pasquale Larosa di ritorno dalla Guinea Bissau
“Abbiamo demolito un vecchio serbatoio idrico e installato quello nuovo. Mentre a Bubaque abbiamo realizzato un tetto per l’installazione di pannelli fotovoltaici”
LECCO – Tre mesi in Africa, ad aiutare i missionari del Pime. Pasquale Larosa, laorchese di 70 anni, è tornato in Italia dopo due mesi trascorsi in Guinea Bissau.
Prima di partire ci disse: “Torno per dare man forte al prezioso lavoro che i missionari stanno facendo in quell’angolo di Africa. Lo faccio col cuore e per aiutare ciò che il compianto Padre Roberto Donghi aveva iniziato quasi vent’anni fa. Un grande missionario ma soprattutto un grande uomo che ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere e incontrare nel 2018″.
Oggi Pasquale porta con sé un’esperienza in più e la voglia di ritornare: “Il mal d’Africa lo sto provando sulla mia pelle. Sono stati due mesi faticosi ma incredibili e spero a dicembre di poter ritornare per concludere i lavori che abbiamo iniziato”.
Pasquale laggiù non ha perso tempo e con l’aiuto di una squadra formata da ragazzi del posto, nel quartiere di Takir a Bissau dove si trova la casa che fa da quartier generale ai missionari del Pime, ha demolito il vecchio serbatoio d’acqua installandone uno nuovo in acciaio inox della capienza di oltre 14mila litri.
“Io parlavo la mia lingua, i ragazzi la loro, ma ci siamo sempre capiti – scherza – Abbiamo lavorato sodo e questo lavoro è stato concluso. Non è stato facile, anche perché qui la sicurezza è relativa e ciò che dovevamo fare non era cosa da poco. La mia premura è stata principalmente quella di far lavorare tutti nel modo più sicuro possibile e ci siamo riusciti, completando il tutto”.
Ma questo non è stato l’unico intervento realizzato da Pasquale. “Ogni due settimane il sabato e la domenica, mi recavo sull’isola di Bubaque. Qui, sempre in una casa parrocchiale, abbiamo realizzato una tettoia dove verranno installati i pannelli solari che ora si trovano sul tetto della casa bisognoso di ristrutturazione. Lavoro che dovrà essere ultimato e spero tanto di poterlo fare a dicembre”.
Pasquale ha sul viso l’espressione di chi è soddisfatto del lavoro svolto, ma quell’espressione cambia, facendo trapelare profonde emozioni, quando ci racconta degli incontri, della vita vissuta a stretto con la gente del posto, dove la fame e la sete sono all’ordine del giorno. Un’esperienza umana insondabile per chi, laggiù non è mai stato e non ha mai taccato con mano una realtà che per molti aspetti supera l’immaginazione.
Mentre scorre le foto sul suo telefonino, Pasquale sembra rituffarsi con anima e corpo in quei luoghi: “Questa volta ho avuto modo di conoscere meglio queste persone, sono entrato nelle loro case, ho iniziato a conoscere la loro cultura affascinante e antichissima, ma ho potuto anche vedere le loro condizioni di vita. Qui la gente mangia una volta al giorno, quando va bene. Vorrei poter aiutare tutti ma è impossibile. Così ho deciso di aiutare personalmente tre famiglie, quelle con cui ho legato di più. Lo faccio per quel che riesco e con l’auspicio di contribuire a rendergli la vita migliore”.
Poi, ricordando Padre Donghi, Pasquale alza gli occhi dal telefonino e dice: “Ha fatto un lavoro immenso e ha saputo creare una parrocchia attiva”.
Ora Pasquale trascorrerà l’estate in Italia, ma il suo pensiero è già rivolto all’Africa: “Sono pronto a ripartire. Dipenderà dalle decisioni del Pime e soprattutto se ci saranno fondi sufficienti per poter concludere il lavoro iniziato”.