(S)punti di Vista. Quando per sposare una valtellinese si doveva pagare una tassa!

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mani soldi

RUBRICA – Carissimi lettori, rieccoci al nostro appuntamento del venerdì; oggi vi racconterò di quando per sposare una valtellinese bisognava pagare una tassa! Avete capito bene, funzionava proprio così: quando una giovane andava in sposa ad un “forestiero” a questi correva l’obbligo di sborsare 30, 40 o 50 lire sia che la donna lasciasse il paese sia che vi restasse. In occasione di tali matrimoni i giovani del luogo usavano fare la tradizionale serra (far la sèra) cioè tendere un  nastro attraverso la via percorsa dalla sposa per recarsi al luogo del matrimonio o attraverso la via percorsa per lasciare il paese; il valore del nastro variava “a seconda che ella è più o meno nelle grazie dei suoi giovani compaesani. Il nastro in alcuni luoghi viene dalla sposa reciso, in altri ne viene avvolta” (questa e le altre citazioni sono tratte da Glicerio Longa “Usi e costumi del bormiese” Edizioni Magnifica Terra).

Tale usanza era comune a tutte le valli bormine ed era estesa anche ad altri paesi dell’alta Valtellina (oltre che diffusa nell’alto novarese ove è chiamata “fare il serraglio” e in altre località piemontesi e lombarde dove è definita “fare la sbarada”).

In Valfurva in occasione della Serra un giovane mattacchione precedeva il corteo scopando la strada davanti agli sposi pronunciando frizzi mordaci: era “il pagliaccio (al pajàzu)! Esso ha un berretto o cappello di carta, calze di diverso colore, brache rivoltate”. Al termine della cerimonia, poi, il “segretario della gioventù” pronunciava, tra il serio e il faceto, un discorsetto d’occasione.

matrimonio anelli

L’usanza della Serra è antichissima, risale almeno al 1500, e trae origine addirittura dalla legge: “Gli Statuti di Bormio di quel tempo vietano severamente -tanto a un forestiero quanto a un indigeno- di tradurre fuori del Contado, e nonostante il suo consenso, una donna ivi abitante e dimorante, qualunque fosse stata la sua condizione: “copulata” o “copulanda”. La multa imposta a quanti incorrevano “in simili peccato et vitio” era di 25 libbre imperiali, che andavano a favore del Comune. Pare che la multa venisse poi elevata in proporzione dei beni esportati con la donna. (Vedi il capitolo 56 degli Statuti criminali: De mulieribus non conducendis extra Bormium).

Direi che questa antica usanza si commenta da sé! Voi cosa ne dite?

Ecco cosa ne pensava una sagace bormiese che ha tradotto in versi il rito della “tirannica serra”

Sostate, Signorina, e de la serra
la tirannia subite. O non vi piace
la cerimonia? E pur di questa terra
ove la tradizione è sì tenace
la vecchissima usanza accetterete:
la tradizione è legge, lo sapete!       

Bormio Antica, custode era gelosa
d’ogni suo avere. Oltre i patri fiumi
liberamente non potea la sposa
seguir lo sposo. Ma mutar costumi,
e può de l’Alpe una gentile figlia
darsi ad un baldo garzon de la Sicilia.

Ma, se i governi si sono fatti miti,
un’altra tirannia regna sovrana
ed han quegli usi i secoli sanciti.
Oggi sarebbe ogni protesta vana,
e vi convien subire con pazienza
anco la mascolina prepotenza.

Però, in compenso, vi faran l’onore
di nastri e dolci, e poi vi sarà letto,
(di qualche ingegno paesano fiore),
breve un discorso, un rustican sonetto,
e voi, indarno, al suon di quegli evviva
celerete una lagrima furtiva.

Poesia di ELISA R.

Bormio, 4 Settembre 1905


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