RUBRICA – Carissimi lettori, bentrovati! Oggi le cronache di fine Ottocento ci aiuteranno ad avventurarci in un dibattito doloroso che si è riattivato in quest’ultimo periodo anche nelle sedi della politica, quello degli figli abbandonati che a sua volta richiama quello intorno all’interruzione di gravidanza e alla legge 22 maggio 1978 n.194. E’ un tema delicatissimo che qui affronteremo da un punto di vista storico lasciando poi alle singole coscienze le riflessioni interne.
Nel novembre del 1899 il Resegone (storico settimanale lecchese cattolico) titola “Il frutto della colpa abbandonato dinanzi alla chiesa di Casatenuovo” fornendoci già molte indicazioni circa il pensiero del redattore dell’articolo che definisce “frutto della colpa” il fagottino abbandonato.
Accadde infatti che lunedì 20 novembre 1899, all’alba, davanti alla chiesa del succitato paese, arrivasse di corsa una carrozza signorile trainata da due cavalli che, fermatasi un momento davanti al portone, altrettanto rapidamente se ne allontanò.
“Alcuni terrieri poco dopo rinvennero sotto l’atrio del tempio un involto contenente un bellissimo maschietto appena nato, vivo e sano, accuratamente avviluppato in pannilini finissimi, con una fascia portante in ricamo le parole: Idolo mio. Dopo il ritrovamento “il bambino venne tosto portato al Municipio, dove il sindaco a norma di legge gli impose il nome (che preferiamo omettere n.d.r.) e ne ordinò l’invio al Brefotrofio provinciale di Como”.
Il cronista conclude con un commento personale sottolineando le “sciagurate conseguenze, anche a questo mondo” di certe “colpe”, con ciò rimandando chiaramente al concetto di “peccato” che dispiega le proprie conseguenze pratiche già quaggiù ma ne porta con sé anche Lassù.
Di questa cronaca mi colpisce la dolcezza che pervade la scena del ritrovamento con quel gioire del fatto che il neonato fosse “vivo e sano” e “bellissimo”, e l’attardarsi del racconto nei particolari dei “pannilini finissimi” e ricamati nei quali il bambino era “accuratamente” avvolto. Una scena poetica che diventa un quadro, una natività: un bambino avvolto in fasce, nel portico della chiesa, nelle luci dell’alba. Purtroppo anche le cronache odierne raccontano troppo spesso e meno poeticamente di neonati abbandonati indicandoci che purtroppo, il problema è ancora irrisolto ed attuale; ancora oggi, troppo spesso, la genitorialità non è consapevole e lo stigma sociale colpisce quelle donne che decidono di portare avanti da sole gravidanze più o meno scomode; ancora oggi, troppo spesso, la maternità viene vissuta come “pesante”, mi colpì molto, qualche tempo fa, la notizia di quella commercialista che scoperto di essere incinta si tolse la vita nel timore di non riuscire a “stare dietro a tutto”.
Io stessa sono madre e posso dire con certezza che, nonostante tanti proclami, le mamme di oggi sono troppo sole; tante guardano con speranza al modello nordico dove al momento della nascita lo Stato provvede a garantire alla donna una presenza che la aiuti col bambino e con le faccende domestiche e che le faccia compagnia; per venire incontro a questa necessità di sostegno è nata anche in Italia la figura della “doula” che si prende cura del benessere psicofisico della mamma e della famiglia dal momento della gravidanza fino al primo anno di vita del bambino.
Il modo in cui un Paese affronta il tema della maternità, sia essa desiderata o meno, dice molto sia di quel Paese che del suo popolo. In questo periodo in Italia, anche prima dell’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, il dibattito si è riacceso, e le donne in politica hanno ricominciato a dire la loro su temi quali il “diritto” di abortire, l’obbligatorietà di seppellire il feto ma anche, sull’altro versante, sul “diritto” di essere genitori ad ogni costo; le differenze fra le varie posizioni sono abissali, la speranza è che, al di là delle ideologie, prevalgano il buon senso e la volontà di trovare soluzioni concrete al passo coi tempi e, soprattutto, con la dignità di ogni essere umano.
Giovanna Samà
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